venerdì 27 giugno 2014

Cliffhanger - L'ultima sfida (Cliffhanger, 1993) di Renny Harlin

"Giocattolone" action d'altura in cui abbondano testosterone, brividi e spettacolarità. Per gli amanti dell'avventura hollywoodiana il divertimento è garantito, a patto di mantenere una notevole sospensione dell'incredulità. Tra le numerose (e quasi tutte maldestre) escursioni di "Sly" al di fuori dei suoi confini abituali (Rocky e Rambo), è una di quelle meglio riuscite. Nel cast, più del monolitico protagonista, emerge il villain di John Lithgow, caratterista inossidabile del cinema americano. I meriti indiscutibili del film sono gli effetti speciali straordinari e gli scenari naturali mozzafiato delle nostre Dolomiti in cui è stato girato, sebbene la vicenda sia ambientata, nella finzione scenica, sulle Montagne Rocciose. L'intensa scena iniziale, vero climax drammatico del film, è quella che resta più impressa prima di tuffarsi, a rotta di collo, nel mare di clichè del cinema d'azione. Ha avuto 3 nominations agli Oscar tecnici del 1994, restando però a bocca asciutta. Coloro che soffrono di vertigini farebbero bene ad evitare; quelli che nei film cercano il realismo innanzi tutto, pure.

Voto:
voto: 3/5

sabato 7 giugno 2014

Ultimo tango a Parigi (Last Tango in Paris, 1972) di Bernardo Bertolucci

Ritratto decadente e malinconico, ma incredibilmente sincero, di un'ossessione sessuale che trova senso e compimento in un appartamento vuoto e "chiuso", al riparo dal mondo esterno, dalle sue regole e dai suoi moralismi. L'appartamento del film è un non luogo interiore, in cui morale, ragione e conformismo non possono entrare ma restano chiuse fuori. Qui tutto è possibile e non ci sono nè regole nè buone maniere: i due amanti sono figure archetipe di un mondo istintuale e selvaggio che le convenzioni sociali cercano di reprimere e tenere nascosto. Ma sono loro ad essere chiusi dentro o è la società ad essere chiusa fuori ? Film scandalo per eccellenza, divenuto (suo malgrado) il simbolo della pedante ottusità della censura, ha dato a Bertolucci la fama mondiale ed ha reso eterni i due amanti, la giovane Schneider ed il vecchio Brando, come tante altre celebri coppie storiche prima di loro. Non sempre equilibrato e non sempre lucido, è un film che vive di vita propria, fatto di eccessi e di scompensi tutti giocati sulla metafora dentro/fuori alla base del suo intimo dilemma. Le parti ambientate "dentro" l'appartamento sono straordinarie per forza espressiva e valenza sovversiva, già solo per le vertigini morali che provocano, e dietro l'apparente volontà provocatrice aleggia sinistro il senso di morte in accordo ad un binomio vecchio quanto l'uomo. Le parti ambientate "fuori" sono meno convincenti, chiaramente ispirate alla Nouvelle Vague che è sempre stata un riferimento per il regista italiano nel suo periodo "Godard". Opera manifesto di un'epoca, densa di contenuti e simbolismi che ancora oggi divide e fa discutere. Memorabili l'interpretazione di Brando, che cannibalizza il film, e le musiche di Gato Barbieri.

Voto:
voto: 4/5

Crash (Crash, 1996) di David Cronenberg

Ossessionati dagli incidenti automobilistici, dal connubio sesso e morte e dal rischio letale come amplificatore del piacere erotico, un produttore cinematografico, sua moglie e la sua amante (che ha perso il marito in un sinistro stradale) si fanno ammaliare da un esperto in materia: il carismatico Vaughan, abile a ricostruire famosi incidenti. Gli allievi supereranno il maestro. Ennesima declinazione, in forma perversa e disturbante, del mito di Eros e Thanatos. Ispirata al romanzo omonimo di James Graham Ballard, quest'opera estrema, controversa già per concezione, potente e agghiacciante, conturbante e terribile, costituisce il punto di non ritorno della poetica di Cronenberg sull'esplorazione della mente umana e sulla mutazione della carne. Mutazione che qui assume, simbolicamente, la forma "metallica" della carrozzeria di un automobile, dilaniata da un incidente, una sorta di prolungamento meccanico del proprio io disturbato alla ricerca disperata del piacere. Si può odiare questo film ma non se ne può negare l'alta valenza simbolica, il fascino oscuro e la capacità di indagare con feroce lucidità mondi sotterranei che la gente "normale" sceglie di non vedere. Premiato al Festival di Cannes con il Premio della giuria, è un memorabile trattato di polimorfismo sessuale psicopatologico, un'atroce fiera di depravazioni feticistiche che spingono la poetica cronenberghiana della contaminazione ai limiti del parossismo. E', a suo modo, un punto di non ritorno e un corto circuito concettuale che lascia atterriti ma affascina. E, proprio per questo, lascia ancora più atterriti. Nel suo delirio masochista di morte e perversione è una delle opere di maggiore impatto degli anni '90. O si sale a bordo o si scende, nessun compromesso è possibile.

Voto:
voto: 4,5/5

Eyes Wide Shut (Eyes Wide Shut, 1999) di Stanley Kubrick

Opera ultima, e controversa, di uno dei massimi Maestri della settima arte, Stanley Kubrick, improvvisamente scomparso pochi mesi prima dell'uscita del film. E' liberamente tratto da Traumnovelle (1925), in italiano Doppio Sogno, di Arthur Schnitzler, scoperto da Kubrick attraverso il regista Max Ophüls, da lui molto ammirato, che aveva tratto La ronde dall'opera dello scrittore austriaco. In Traumnovelle Schnitzler, ispirandosi alle teorie rivoluzionarie del suo contemporaneo Freud, afferma il valore del sogno come momento supremo di manifestazione dell'inconscio, nel quale si spezzano le catene delle convenzioni, della morale e dei falsi perbenismi. Il grande merito di Schnitzler fu quello di cogliere e raccontare, nell'arte, le incoffessabili pulsioni sessuali (anche quelle più estreme) della sua società repressa. Eyes Wide Shut, come Traumnovelle, si svolge in un'atmosfera da sogno e questo spiega la vicenda straniante, le sue situazioni improbabili, il senso di minaccia incombente ma etereo, i personaggi conturbanti, la tentazione sempre dietro l'angolo, il mistero che sembra avvolgere tutto. E tutto sotto l'ala "protettrice" delle teorie di Freud che vedono il sogno come un momento di libertà e di autentica rivelazione dell'inconscio. Quindi il film di Kubrick è tutto un sogno, o meglio un sogno ad occhi aperti, come il titolo stesso dice chiaramente. Kubrick, nella sua trasposizione dalla Vienna post asburgica alla New York moderna (il maggiore simbolo della decadenza dei nostri tempi), rimpiazza la grande valenza provocatoria del racconto origine con un erotismo audace, ma algido. Da cui la scelta della Kidman, simbolo vivente della bellezza fredda e "distante". Senza rinunciare a mostrare o a suggerire, Kubrick rimane alquanto fedele a Traumnovelle, adattando il tutto ad una diversa percezione delle cose imposta dalla differenza di epoca storica. Ecco quindi i desideri segreti, il sesso mercificato, le maschere che coprono le convenzioni sociali o il compromesso di falsità su cui si basa il quotidiano rapporto di coppia. Ma va anche detto che se Traumnovelle è un racconto breve e semplice nella struttura, Eyes Wide Shut è un apologo potente, enorme e sontuosamente impaginato. E' così denso di richiami culturali, implicazioni psicanalitiche, sociali ed antropologiche che ad ogni visione successiva se ne possono cogliere aspetti nuovi e diversi. Le dicerie sorte intorno alla lavorazione di questo film e la prematura morte del regista ne hanno aumentato l'aura misteriosa, santificandolo a prescindere. Di certo non è il miglior Kubrick ma è la degna conclusione di una carriera straordinaria.

Voto:
voto: 4/5

Ecco l'impero dei sensi (Ai no korîda, 1976) di Nagisa Oshima

Disturbante apologo sul sesso inteso come forma estrema di possesso (e, quindi, di potere) e sulla sua prossimità alla morte, se spinto ai limiti. Famoso film scandalo giapponese, evidentemente influenzato da suggestioni sadiane di matrice francese, che ha la forma, simbolica, di un novello manuale delle trasgressioni erotiche. Nonostante le situazioni "scabrose" la messa in scena è algida, asettica, mai compiaciuta, una sorta di ineluttabile rituale rappresentato con elegante distacco, esteticamente più vicino alla pittura che al cinema, confermando l'indubbio talento figurativo del regista Oshima, perennemente attratto dalla sperimentazione sulle immagini. Ed il contrasto tra la rigida "etica" stilistica e la totale amoralità delle situazioni narrate è il punto di forza dell'opera, che ne sancisce l'indubbio status autoriale. In Italia fu massacrato dalla censura e la versione integrale si è resa disponibile solo negli anni '90. E' una tappa obbligata di qualunque itinerario nel cinema erotico d'autore.

Voto:
voto: 4/5

Betty Blue (37°2 le matin, 1986) di Jean-Jacques Beineix

Zorg, aspirante scrittore che vive e lavora in un villaggio balneare, viene letteralmente "travolto" dall'incontro con Betty, un ciclone di erotismo di spudorata vitalità. All'insegna di una passione sfrenata i due si amano e vivono l'uno per l'altra, fino a quando, una gravidanza andata male, fa cadere la ragazza in un abisso di depressione con pericolose tendenze autodistruttive. Tratto dal romanzo omonimo di Djian Philippe, è un melodramma erotico a tinte forti che racconta le stagioni di un amore con registri e toni cromatici diversi, passando dal fiammeggiante al plumbeo, dal sensuale al tragico. Cromaticamente è un film a due colori: il rosso e il blu. Nonostante qualche eccesso e qualche schematismo è accattivante, conturbante e struggente proprio come la sua protagonista, una Béatrice Dalle (specializzata in ruoli "estremi") bravissima e bellissima. Grande successo di pubblico e critica in Francia dove è uscito con il ben più suggestivo titolo 37°2 le matin, ovvero la temperatura corporea media di una donna incinta al momento del risveglio. Dal punto di vista emotivo è un'esperienza intensa ed indimenticabile, un esempio di cinema vero ed acuto come i francesi sanno fare alla grande. Splendida colonna sonora di Gabriel Yared.

Voto:
voto: 4/5

Shame (Shame, 2011) di Steve McQueen

Ritratto disperato di un "sex addict" dalla doppia vita: di giorno professionista impeccabile ed elegante, di notte consumatore compulsivo di sesso sfrenato in tutte le sue forme: reale, virtuale, mercenario, occasionale. Michael Fassbender è bravissimo a dar vita a questo personaggio torbido e tormentato, pieno di pulsioni nascoste e divorato sia dal fuoco della libido che dal senso di colpa: la vergogna del titolo. Un personaggio ruvido ed ambiguo, per il quale l'irruzione nella routine quotidiana della sorella, fragile e vitale, sarà l'elemento scatenante di una serie di "cambiamenti". Il regista Steve McQueen sceglie ancora una volta una situazione sordida ed opprimente (con evidenti echi di Bret Easton Ellis) e la porta in scena con uno stile tanto freddo quanto ricercato, lasciando agli attori il compito di trasmettere le "emozioni" al pubblico. E' un ritratto sconsolante dell'opulenta società occidentale, dedita all'edonismo, in preda al disvalore e consumata dalla solitudine esistenziale. Il sesso è qui inteso come un atto meccanico, disperato, agghiacciante. E' meno potente del precedente Hunger ma ugualmente scioccante.

Voto:
voto: 3,5/5

Légami! (¡Átame!, 1990) di Pedro Almodóvar

Un uomo con problemi psichici, appena dimesso da un istituto d'igiene mentale, è invaghito di una pornodiva ed è disposto a tutto pur di sposarla. Dopo aver rapito la donna, la tiene legata al letto nel suo appartamento per fare in modo che possa conoscerlo e capire i suoi sentimenti. Inizialmente lei è furiosa, ma poi si abbandona alla passione sessuale e il gioco sembra piacerle. Commedia erotica frizzante che nasconde un'anima drammatica sotto una coltre irriverente. Il "ragazzaccio" di Ciudad Real si diverte a tratteggiare personaggi teneri e cinici, verso cui si può provare empatia e disgusto allo stesso tempo, ma il suo chiaro intento polemico è quello di dissacrare il tranquillizzante conformismo dei così detti "normali" nel rapporto di coppia. Attraverso una varietà di toni e di registri narrativi, tra situazioni estreme e sprazzi di humour nero, il film assume i connotati di una parabola onirica sull'appagamento ossessivo dei desideri. E, come sempre, quando Almodovar riesce a limare i suoi eccessi, come nella prima parte, il piacere dello spettatore è garantito. Incisiva colonna sonora di Ennio Morricone.

Voto:
voto: 3,5/5

Y tu mamá también (Y tu mamá también, 2001) di Alfonso Cuarón

Road movie bollente che attraversa un Messico selvaggio e bellissimo, vitale e desolato, proprio come questo film di Cuarón che celebra, attraverso eccessi e trasgressioni, la fine dell'adolescenza ma anche la caducità della vita. La consueta metafora del viaggio come percorso spirituale si accosta alla vicenda di due amici adolescenti (Julio e Tenoch), in piena tempesta ormonale, che accompagnano la bella Louisa, trentenne infelicemente sposata, verso una fantomatica località balneare che neanche loro conoscono. L'intento dei due ragazzi è chiaro ma le dinamiche del viaggio riserveranno qualche sorpresa. Un film duro, a tratti greve, ma che disegna uno spaccato realistico delle inquietudini giovanili senza la pretesa di lanciare messaggi o di fornire risposte per un cinema "nudo e crudo", pregno di un erotismo selvatico dal retrogusto amaro. Vinse due premi al Festival di Venezia: migliore sceneggiatura e miglior attore esordiente (premio Marcello Mastroianni) ai due interpreti maschili Gael García Bernal e Diego Luna. La protagonista femminile è Maribel Verdú.

Voto:
voto: 3,5/5