martedì 16 agosto 2022

Elvis (2022) di Baz Luhrmann

Vita e carriera, grandi trionfi e amaro declino del leggendario "Re del Rock&Roll", Elvis Aaron Presley, cresciuto povero in un umile ghetto di afroamericani della Louisiana rurale, che fu però decisivo per il suo imprinting musicale: tra gospel e blues, country e jazz. Bianco di pelle ma dall'anima decisamente "black" per affinità elettive, il giovane Elvis apparve come un fulmine sulla scena musicale americana degli anni '50 e, con l'aiuto decisivo del suo mentore ed impresario tuttofare, il controverso colonnello Tom Parker (per molti un truffatore affabulatore, per altri un lungimirante genio degli affari, la verità probabilmente sta nel mezzo), esplose travolgendo tutto con la sua verve scatenata, il suo stile sensualmente audace, la sua innata vena provocatoria, la sua voce suadente e la sua musica decisamente nuova e trascinante nel suo ardito mix di diverse influenze. In breve il mito di Elvis si diffuse su scala mondiale: divo del rock, simbolo di ribellione, icona di stile che fece proseliti e vantò una enorme schiera di imitatori ad ogni latitudine. Adorato dalle donne e dalle folle di giovani che vedevano in lui un esempio tangibile di cambiamento sociale e culturale, il nostro vendette milioni di dischi, guadagnò una fortuna, creò un'iconografia che resiste ancora oggi, ma finì schiacciato dal peso del suo enorme successo e dalla difficoltà di far coesistere il suo mito con la sua personalità di ragazzo semplice e sentimentale del profondo Sud. Il film si sofferma principalmente sul lato umano di Elvis e sui rapporti emotivi che ne hanno segnato l'esistenza: con la madre, con il padre, con la moglie, con la figlia e, principalmente, con il suo manager (il colonnello Parker), che fa da voce narrante della vicenda e dalla cui prospettiva viene raccontata la storia. Ne vien fuori un biopic musicale sfaccettato e sfavillante, lungo e dinamico, un po' melodramma ed un po' parabola metaforica dal retrogusto amaro sull'ossessione tutta americana del self made man. Ad un certo livello, e per quasi tutta la sua prima metà, è un film stupefacente ed entusiasmante, un rutilante rush in pieno stile Luhrmann che sa essere, al tempo stesso e con sapiente efficacia, circo e favola, carosello e dramma, mirabilia e decadenza, tripudio e sconfitta, sogno e morte. Forse per la prima volta il talentuoso regista australiano riesce a conciliare, a tali livelli espressivi, la sua estetica del mirabolante con un'anima drammaturgica secca e perentoria, mai troppo seriosa o didascalica, a parte qualche leggero scivolone nella retorica sentimentale riscontrabile nella parte finale. Ma non c'è dubbio che questo sia il suo film migliore, una felice sovrapposizione tra la parabola umana di Elvis e quella storico-sociale americana, con la notevole intuizione di scegliere il punto di vista del "villain": l'ambiguo colonnello Parker. Ed è bello prendere atto che questo Elvis targato Luhrmann sappia essere molte cose insieme con agile disinvoltura, proprio alla maniera del personaggio protagonista: una clamorosa lezione di virtuosismo stilistico, tra dolly spericolati e split screen polisemantici; un esempio spudorato di montaggio audace in cui le immagini si sposano perfettamente con il livello emotivo; un melò familiare sulla potenza delle radici e sul dolore della perdita; un sottile apologo politico su quei tumultuosi anni di violente ribellioni e sofferti cambiamenti; un trattato sapiente sulla valenza erotica, trasgressiva e furiosa del Rock&Roll; una metafora sapida sul lato oscuro del Sogno Americano e sulla sua inevitabile caducità. Al netto di qualche passaggio lezioso e di qualche omissione di troppo sul dark side del "super eroe" Elvis, peccati veniali in un'opera compatta, abbacinante e di altissimo livello, questo film conquista, travolge e convince. Nel cast sontuoso che annovera Austin Butler, Tom Hanks, Olivia DeJonge, Helen Thomson, Richard Roxburgh, Kelvin Harrison Jr. e David Wenham, spiccano i due protagonisti Butler (sorprendente, intenso e trascinante) ed Hanks (indubbiamente bravo in un ruolo per lui atipico, ma un po' troppo appesantito dall'eccessivo trucco prostetico che ne limita la carica espressiva). Da incorniciare la scena emblematica della giostra che si ferma: è, sia di forma che di fatto, la quintessenza dell'estetica di Baz Luhrmann.

Voto:
voto: 4/5

domenica 7 agosto 2022

Tredici vite (Thirteen Lives, 2022) di Ron Howard

Thailandia, giugno 2018. Dodici adolescenti che militano in una squadra di calcio locale rimangono intrappolati, insieme al loro allenatore, nelle grotte di Tham Luang, che si allagano improvvisamente poco dopo il loro ingresso a causa delle massicce piogge monsoniche. Bloccati all'interno di una camera rocciosa distante diversi chilometri dall'entrata, con poca aria e senza cibo, i ragazzi si fanno coraggio e cercano di resistere grazie alla forza di spirito che gli viene infusa dal loro coach. Il tragico evento assume ben presto risonanza mondiale, attirando sul sito giornalisti, volontari e curiosi che si uniscono al dolore dei parenti nel tentativo di dare una mano. Un gruppo di esperti sommozzatori speleologi inglesi riuscirà per primo a raggiungere i dispersi dopo una lunga e pericolosa immersione attraverso stretti cunicoli, resa ancora più complicata dalla forza delle correnti dovute all'acqua piovana che continua a penetrare nelle grotte attraverso la montagna. Mentre i giorni passano veloci e il temporale concede una momentanea pausa, il vero problema diventa quello di portare fuori i ragazzi, attraverso un percorso lungo e spaventoso che mette a dura prova anche i subacquei più abili. Questo avvincente dramma di azione tratto da una storia vera, prodotto dalla MGM, scritto da William Nicholson e diretto con tocco sapiente da Ron Howard, è un bel film di avventure subacquee (probabilmente poco adatto a coloro che soffrono di claustrofobia), che celebra, senza enfasi ma con appassionata partecipazione, quegli eroi e quei coraggiosi volontari che, nel luglio 2018, riuscirono in un'impresa disperata, rischiando le loro vite per salvarne 13 (come recitato suggestivamente dal titolo). Il famoso e prolifico regista americano, troppo spesso invischiato in imbarazzanti blockbuster fracassoni, realizza uno dei suoi film migliori, dimostrando finalmente un giusto senso della misura in questo felice connubio tra tensione drammatica, spettacolarità visiva, suspense strisciante, impegno civile, partecipazione umanitaria e rievocazione veemente. Il tutto senza mai eccedere in retorica, ma con un registro stilistico sobrio, secco e teso, quasi dirigendo "alla Clint Eastwood", per regalarci un'opera convincente, impegnativa ed impegnata, che sa andare dritta al cuore della questione: la dedizione e l'altruismo che talvolta emerge in situazioni estreme, mettendo in mostra il meglio della natura umana. Da lodare l'intera squadra di attori (Viggo Mortensen, Colin Farrell, Joel Edgerton, Tom Bateman, Paul Gleeson, Teeradon Supapunpinyo, Sahajak Boonthanakit), tutti calibrati, efficaci e con la faccia giusta nel rispettivo ruolo. Un ulteriore merito, non da poco, da attribuire a regista e sceneggiatore, è quello di aver saputo rendere emotivamente coinvolgente un film il cui finale era già noto in partenza, essendo ispirato ad un celebre fatto di cronaca di cui all'epoca si è molto parlato in tutto il mondo. 
 
Voto:
voto: 3,5/5