venerdì 29 aprile 2022

The Northman (2022) di Robert Eggers

Ad Hrafnsey, regno che sorge sulla costa norvegese nell'anno 895 dC, il re Aurvandil (detto "corvo di guerra") viene ucciso a tradimento in un agguato da suo fratello Fjölnir, che ne usurpa il trono e ne sposa la moglie Gudrun. Il principe Amleth, adolescente figlio di Aurvandil e Gudrun, assiste impotente all'omicidio di suo padre e scampa alla morte per miracolo, dandosi alla fuga e schivando gli sgherri di suo zio, che intendono assassinare anche lui per eliminare tutta la discendenza reale legittima. Dopo molti anni Amleth è diventato un guerriero forte, temerario e implacabile, che uccide i suoi nemici come un animale feroce. Ma non ha dimenticato il suo giuramento di vendicare il padre, salvare sua madre e togliere la vita allo zio traditore. Unendosi alla bionda Olga, una ragazza di origini slave con poteri da maga, torna nella sua terra natia come schiavo e prepara la sua terribile vendetta. Il terzo lungometraggio del talentuoso Robert Eggers, scritto da lui stesso insieme al poeta danese Sjón, è il libero adattamento di uno dei racconti dello storico medievale conosciuto come Saxo Grammaticus (dedicato alle gesta del principe nordico Amleth), da cui trasse ispirazione anche William Shakespeare per scrivere la sua tragedia storica più famosa: "Amleto". Fedele alla sua idea di cinema mitico, cupo, spaventoso e visionario, Eggers realizza un enorme affresco brutale, arcano, primordiale ed oscuro, sotto forma di violenta epopea vichinga che attinge, creativamente, dalle leggende norrene, dalla mitologia nordica, dalla storia medievale e da un'antica iconografia guerriera che sa diventare un affascinante poema per immagini fatto di morte, di sangue, di pulsioni ferine, di passioni inarrestabili, di legami familiari e di granitici ideali, con suggestioni magiche, ammiccamenti fantasy e visioni esoteriche. Radicato tra fango e cielo, corpo e spirito, inferno e Valhalla, tradimento e onore, bestiale e ascetico, questo primo progetto di Robert Eggers realizzato con un alto budget, con grandi attori e sotto la produzione di una potente major (la Universal), riesce a conciliare con saldo equilibrio le esigenze spettacolari di un "peplum" mitologico con l'approccio autoriale, introspettivo ed evocativo tipico del regista. La lavorazione è stata lunga e complessa, sia per l'intransigenza dell'autore nel girare il maggior numero possibile di sequenze in location reali, sia per i ritardi dovuti alla pandemia di covid-19 e sia per le costanti pressioni da parte della produzione atte a rendere l'opera più "semplice" e fruibile per il grande pubblico. Alla fine del tira e molla Eggers è riuscito a farsi valere, ottenendo il rispetto quasi totale della sua visione, accettando però di ridurre la durata della pellicola da 177 a 137 minuti, aggiungendovi qualche scena di azione in più e limando i momenti efferati espliciti (comunque presenti), lasciandoli quasi sempre fuori fuoco. Non male per un cineasta giovane, che ha al suo attivo "solo" 3 film ma è già lanciato verso una carriera fulminante. Nel ricco cast (che annovera Alexander Skarsgård, Nicole Kidman, Anya Taylor-Joy, Claes Bang, Ethan Hawke, Gustav Lindh, Elliott Rose, Willem Dafoe e la cantante Björk) vanno segnalati obbligatoriamente: Skarsgård per la fisicità impressionante, Bang per la caratterizzazione di un villain tridimensionale, la Taylor-Joy per la sua espressività disarmante e la rediviva Kidman, finalmente tornata ai suoi alti livelli recitativi come non si vedeva da tempo. Nonostante la storia sia di una semplicità assoluta, quasi esile nella sua lineare progressione inevitabile, il film ha un'incredibile potenza sia visiva che sonora (e per questo almeno una visione in sala è praticamente obbligatoria), una seconda parte travolgente ed almeno tre sequenze memorabili. Peccato che qualche momento onirico-fantasy risulti un po' kitsch dal punto di vista della resa degli effetti visivi, ma trattasi di peccati veniali.

Voto:
voto: 4/5

mercoledì 27 aprile 2022

Fair Game - Caccia alla spia (Fair Game, 2010) di Doug Liman

Valerie Plame, agente della CIA che opera sotto copertura, scopre elementi decisivi che provano che l'Iraq non ha mai intrapreso alcun programma di armamento atomico, smentendo così la tesi "ufficiale" utilizzata dall'amministrazione Bush (e data in pasto al popolo ancora sconvolto dagli attentati dell'11 settembre) per giustificare l'intervento armato americano nel paese arabo. Quasi simultaneamente suo marito, il diplomatico Joseph C. Wilson, pubblica un articolo sul New York Times in cui nega, con tanto di elementi probatori, che l'Iraq si sia mai approvvigionato di una fornitura di uranio atta a preparare bombe di distruzione di massa. Lo scandalo provocato in tutto il paese getta ombre sinistre sul governo in carica e sulla guerra in corso e rende i due coniugi persone "indesiderabili" per lo status quo. Una scientifica campagna diffamatoria viene architetta ad arte per screditare Valerie e Joseph, che vengono così travolti da una tale ondata di dissenso e di nefandezze da mettere in crisi la loro vita professionale e privata. Questo thriller biografico di Doug Liman è tratto dalle memorie di Valerie Plame e di suo marito Joseph C. Wilson, che raccontano dello scandalo politico e giudiziario (denominato "CIA-gate") che esplose negli USA nel 2003, provocando un enorme scalpore mediatico. E' sempre stata un'opinione diffusa (e non solo da parte degli amanti di scandali e complotti) che la guerra mossa dagli USA all'Iraq fosse del tutto ingiusta, basata su motivazioni risibili e infondate, per coprire i reali intenti economici, strategici, elettorali ed imperialistici. Il "CIA-gate" ha dato linfa a questa tesi, portando alla luce oscure connessioni ed imbarazzanti connivenze tra diversi esercizi del potere americano, rivelando corruzioni, incompetenze ed intrallazzi a svariati livelli governativi. Partendo dalla sceneggiatura scritta dai fratelli Butterworth, Doug Liman prova a raccontare tutto questo, con le licenze romanzate del caso, in un film di 108 minuti, con pochissima azione, molti dialoghi, una discreta contestualizzazione ambientale ed un buon approfondimento psicologico dei personaggi principali (affidati alla solida coppia Naomi Watts e Sean Penn, qui alla loro terza collaborazione cinematografica). Ma se l'approccio, poco hollywoodiano e più autoriale, è encomiabile, la pellicola non ne traduce in pratica gli intendimenti, risultando troppo intricata, poco pungente, esageratamente prolissa e declamatoria, più didascalica che realmente mordace. Ci si limita ad una denuncia di blanda portata retorica, con una serie di ellissi nella parte finale che suonano del tutto fuori luogo. Sono invece da lodare l'accuratezza con cui viene illustrato lo scenario politico, l'ottima interpretazione della Watts e la fotografia raffinata curata dallo stesso Doug Liman. Presentato in concorso al Festival di Cannes, il film si è rivelato un flop assoluto al botteghino, è stato lodato dalla critica americana, mentre invece ha ottenuto flebili consensi e generale indifferenza da parte di quella europea.

Voto:
voto: 2,5/5

Penguin Bloom (2020) di Glendyn Ivin

Samantha Bloom, felicemente sposata con il fotografo Cameron e madre dei suoi tre figli, è una donna solare e sportiva, amante della vita, del mare e del surf, costantemente in attività al punto che la famiglia stenta a tenerne il ritmo frenetico. Durante una vacanza in Tailandia, un tragico incidente cambia per sempre la sua esistenza: in seguito ad una caduta accidentale da un terrazzo, Samantha rimane paralizzata dalla cintola in giù e cade in uno stato di profonda depressione, che ben presto attanaglia l'intero nucleo familiare. Non bastano le amorevoli attenzioni del marito a farla uscire dal tunnel di disperazione in cui è caduta. Ma l'ingresso in famiglia di un ospite inatteso: una piccola gazza ferita che viene accudita dal figlio Noah, che viene chiamata "Penguin" per il suo aspetto e che diventa, a tutto gli effetti, un nuovo membro dei Bloom, avrà incredibili effetti rigeneranti sull'umore di Samantha, compiendo un piccolo "miracolo". Questo dramma biografico di Glendyn Ivin, ambientato nella meravigliosa Australia, terra adottiva della protagonista Naomi Watts, è tratto da una storia vera, raccontata nel libro "Penguin Bloom", scritto da Cameron Bloom, marito di Samantha. Come tutti i film che raccontano della dura lotta tra il protagonista ed una grave malattia invalidante, il rischio di scadere nella retorica lacrimevole o nel moralismo patetico è sempre molto alto. Ma il regista riesce in parte ad evitarlo, pur rimanendo nei limiti di una narrazione edificante e convenzionalmente sentimentale, grazie all'utilizzo di un tocco soffice che cerca di limare l'enfasi nelle scene madri e si affida all'incanto mozzafiato dei paesaggi australiani ed alla recitazione spontanea degli attori (oltre alla sempre brava Naomi Watts, vanno citati Andrew Lincoln, Rachel House ed il piccolo Griffin Murray-Johnston). La morale del film, ripresa pari pari dal racconto ispiratore, è il rapporto simbiotico (ma troppo spesso "dimenticato") tra uomo e natura, e di come il primo possa (e debba) imparare dalla grande lezione che la seconda ci impartisce quotidianamente, per migliorare sè stesso, e trovare un equilibrio interiore, pur in condizioni estreme come quelle in cui si viene a trovare la protagonista. I momenti più riusciti sono le interazioni tra la gazza "Penguin" ed i membri della famiglia Bloom o le riflessioni educative, cariche della fiera saggezza di un popolo antico come quello Maori, della tenace Gaye, esperta di riabilitazione del corpo e della mente, con l'ausilio del recupero dell'ancestrale rapporto che tutti noi abbiamo con l'acqua.

Voto:
voto: 2,5/5

La foresta dei sogni (The Sea of Trees, 2015) di Gus Van Sant

C'è un luogo in Giappone, alle falde del monte Fuji, conosciuto come "Jukai" (letteralmente, "mare di alberi"). Una sorta di purgatorio in terra, tristemente noto con il nefasto soprannome di "bosco dei suicidi" perchè sono in tanti ogni anno che vi si recano per darsi la morte. Questo luogo estremo e (secondo le credenze orientali) mistico, è la foresta di Aokigahara, in cui Gus Van Sant, il più hollywoodiano dei cineasti indipendenti d'oltre oceano, ha scelto di ambientare il suo lungometraggio n. 16, partendo da una sceneggiatura di Chris Sparling. La trama è semplice, quasi pretestuosa alla messa in scena di un labirintico viaggio metaforico, più interiore che esteriore, al confine tra la vita e la morte, in cui l'Uomo interroga sè stesso sul fine (e sul senso) del suo percorso esistenziale, tra dolore, sensi di colpa, smarrimento e cupio dissolvi di natura purificatrice. L'americano Arthur Brennan, disperato per la tragica morte dell'amata moglie Joan, decide di togliersi la vita e si reca ad Aokigahara per compiere l'insano gesto. Una volta entrato nella spettrale boscaglia, incontra un'altra anima persa come lui, il giapponese Takumi Nakamura, che per lavare l'onta del disonore di un licenziamento, intende uccidersi nella foresta. In questo esilio spirituale i due uomini condividono il percorso, imparano qualcosa l'uno dall'altro e si abbandonano a riflessioni, ricordi, affanni e ripensamenti. La morte è sempre stato un tema dominante del cinema di Gus Van Sant e, in questo cupo melodramma allegorico, l'intento del regista era quello di tracciarne una sorta di parabola ieratica definitiva, quasi a voler apporre una simbolica pietra miliare nella sua filmografia. Ma è difficile trovare tutto questo, e persino l'abituale talento narrativo dell'autore, in questo film incerto, claudicante, troppo enfatico nei suoi passaggi sentimentali e troppo poco astratto nell'essenza per ergersi a trattato speculativo sul concetto di "ultimo viaggio". Esattamente come i due protagonisti (Matthew McConaughey e Ken Watanabe), lo spettatore si trova a vagare in un dedalo nebbioso di suggestioni, flashback e metafore, che non è sorretto da un solido impianto concettuale o da una spina dorsale metafisica capace di renderlo creativo, poetico o simbolicamente pregno. Si procede, invece, per affastellamento di "visioni", alternate a indulgenze melense, senza mai trovare veramente la convergenza figurativa tra lo spazio esterno (la foresta) e quello interiore (l'animo tormentato del protagonista). Da dimenticare la banalissima "traduzione" italiana del titolo originale.

Voto:
voto: 2,5/5

The International (2009) di Tom Tykwer

Un energico agente dell'Interpol, Louis Salinger, ed una tenace procuratrice distrettuale americana, Eleanor Withman, si trovano fianco a fianco per indagare sulle attività illecite di una grossa banca che, in maniera occulta, foraggia associazioni terroristiche, stati canaglia e signori della guerra del terzo mondo vendendo loro armi di ogni tipo. L'indagine, che si rivela sempre più ad alto rischio, li porterà a scoperchiare uno sporco sistema di corruzione su scala internazionale, i cui vertici partono da Berlino e si snodano da Lione a New York, da Istanbul a Milano, con collusioni con il mondo dell'alta finanza e con nuove forze politiche emergenti di orientamento di destra. Rischiando la loro stessa vita, i due paladini della legge non intendono fermarsi davanti a nulla. Questo thriller spionistico di fantapolitica del tedesco Tom Tykwer è un film di azione ispirato ai modelli del cinema action d'impegno sociale degli anni '70 (da cui eredita stile ed atmosfere), mescolandoli con un respiro internazionale fornito dalle diverse location, con un senso spettacolare tutto moderno e con connessioni alla cronaca reale italiana (la truffa finanziaria che vide al centro Roberto Calvi, le Brigate Rosse, la nascita di Forza Italia e del berlusconismo). Il risultato è un intruglio superficiale, grossolano e qua e là supponente (in cui il "belpaese" viene dipinto con il solito pressapochismo prevenuto, facendo una pessima figura), fin troppo derivativo ed ampiamente prevedibile negli esiti. La coppia di protagonisti (Clive Owen e Naomi Watts) se la cava discretamente, ma la sceneggiatura di Eric Warren Singer è troppo approssimativa per sollevare l'opera al di sopra della mediocrità. Dal punto di vista registico Tykwer si dà un gran daffare per donare energia al film, a cominciare dalla scelta estetica di utilizzare toni cromatici differenti per caratterizzare le varie ambientazioni di città in città. Il nostro Luca Barbareschi interpreta un politico italiano, Umberto Calvini, rampante e losco, implicato nel business internazionale del traffico d'armi e leader di un nuovo movimento di centro destra chiamato F.I. (Futuro Italiano). Ogni allusione (non) è puramente casuale.
 
Voto:
voto: 2,5/5

martedì 26 aprile 2022

Ofelia - Amore e morte (Ophelia, 2018) di Claire McCarthy

Elsinore, Danimarca. La giovane Ofelia, figlia di Polonio, nonostante le origini popolari è la dama di compagnia favorita della regina Gertrude, grazie alla sua sensibilità ed alla sua intelligenza. La ragazza vive una storia d'amore segreta con il principe Amleto, figlio del re e di Gertrude, ma una terribile tragedia sta per abbattersi sulla corte danese. Lo spietato Claudio, zio di Amleto e fratello del re, uccide il sovrano facendo credere ad un incidente, s'impossessa del trono e seduce Gertrude, sposandola e rendendola regina in seconde nozze. Amleto, in preda a rabbia e dolore, si finge pazzo per architettare un terribile piano di vendetta ed Ofelia si trova schiacciata tra l'amore per il principe e il desiderio di non soccombere alla catena di sanguinosi eventi innescati dal suo amato. Troverà un'inattesa alleata in Matilde, una strega misteriosa che vive in una capanna nel bosco, essendo stata bandita dalla sua comunità. La strana donna, a cui nessuno osa avvicinarsi, nasconde un oscuro segreto legato al passato della corte reale di Danimarca. Questo melodramma in costume, stilisticamente pregevole e narrativamente ardito, tratto dal romanzo omonimo di Lisa Klein e diretto dall'australiana Claire McCarthy, è una suggestiva rilettura moderna dell'Amleto, la più celebre tragedia di William Shakespeare, già rappresentata molte volte sul grande schermo. La scelta è quella di raccontare la storia che tutti ben conosciamo dal punto di vista femminile di Ofelia, rendendola protagonista assoluta e lasciando il principe furente e gli altri personaggi in secondo piano. E non c'è soltanto questa novità, ma almeno due cambiamenti fondamentali vengono apportati alla vicenda classica: l'inserimento del nuovo personaggio di Matilde (che è anche uno dei più affascinanti) ed il finale molto diverso relativamente al destino di Ofelia. Amleto al tempo del #me_too ? Probabilmente sì, ma l'opera ha una propria dignità espressiva, una fulgida impaginazione estetica e alcuni momenti "creativi" di grande impatto. Da lodare le interpretazioni di Daisy Ridley (Ofelia) e di Naomi Watts (in un doppio ruolo), mentre Clive Owen, George MacKay e Tom Felton si limitano ad una recitazione col pilota automatico. Girato nelle reali location medievali della Repubblica Ceca e presentato in anteprima al Sundance Film Festival, non è mai stato distribuito nel nostro paese, ma è uscito direttamente in home video.

Voto:
voto: 3/5

lunedì 25 aprile 2022

I Heart Huckabees - Le strane coincidenze della vita (I Heart Huckabees, 2004) di David O. Russell

Albert Markovski è un mite ambientalista, impegnato, insieme al suo gruppo di attivisti, contro la costruzione di un centro commerciale appartenente alla grande catena dei magazzini Huckabees. La sua nemesi è il brillante Brad Stand, avvocato rampante che lavora al servizio del marchio per portare a termine l'edificazione del megastore. Una serie di sfortunate coincidenze convincono Albert di essere perseguitato dalla malasorte e per questo il nostro si rivolge ad una stramba coppia di "detective esistenziali" (Bernard e Vivian Jaffe), presunti esperti dei misteriosi processi metafisici che determinano il destino di un uomo. Ma anche Brad diventa cliente dei bizzarri indagatori e dalle sedute emerge il suo complicato rapporto con la bella Dawn, biondina svampita con cui ha una relazione e che lavora come ragazza immagine per i grandi magazzini. L'entrata in gioco di una filosofa francese incline al nichilismo e rivale dei Jaffe, e di un pompiere che si crede esperto delle "dinamiche universali", finisce per complicare tutto. Commedia stralunata dai toni grotteschi e dagli accenti intellettualoidi, scritta e diretta da David O. Russell ed interpretata da un cast stellare che annovera attori come Jason Schwartzman, Isabelle Huppert, Dustin Hoffman, Jude Law, Mark Wahlberg, Naomi Watts, Kevin Dunn, Lily Tomlin,Tippi Hedren, Jonah Hill, Isla Fisher e Talia Shire. Le intenzioni del regista erano quelle di realizzare un film stravagante ed arguto sul senso effimero della vita, sugli arabeschi ineffabili del destino e su quanto la sfortuna dipenda dalla negatività interiore dei propri bersagli o, piuttosto, da fattori ad essi esterni. Ma tutto si traduce in un pastrocchio inconcludente, prolisso, contorto, falsamente teorico, a tratti fastidiosamente tronfio nella sua seriosità, suggestivo nella forma ma petulante nel suo compiaciuto girare a vuoto su sé stesso. E' a metà strada tra la presa in giro (dello spettatore) e il delirio cervellotico autoreferenziale, mai realmente incisivo, sorprendente o prodigo di scarti audaci. Alcuni hanno suggerito, come possibile chiave di lettura alla base del progetto, un tentativo di David O. Russell di ispirarsi alle commedie surreali di Wes Anderson. E' possibile, ma, alla luce del risultato, siamo davvero in tutt'altro campo da gioco.

Voto:
voto: 2/5

Ellie Parker (2005) di Scott Coffey

Ellie Parker, giovane ragazza australiana solare e determinata, sbarca a Los Angeles per realizzare il suo sogno di diventare attrice. Ma tra continui provini, false promesse, porte sbattute in faccia, delusioni di ogni tipo e subdole molestie, Ellie si rende presto conto che il mondo di Hollywood, in apparenza dorato e ammaliante, è un cinico sottobosco di ingiustizie, inganni, prevaricazioni e violenze psicologiche. E anche sul fronte della vita privata le cose non vanno affatto meglio: tra un fidanzato musicista che la tradisce di continuo, amici che le voltano le spalle e loschi personaggi che si approfittano di lei e della sua posizione di "debolezza". Commedia drammatica scritta e diretta dal regista attore Scott Coffey, basata sull'idea di un suo cortometraggio realizzato nel 2001 con lo stesso titolo. Potrebbe sembrare il solito film acido sul lato oscuro di Hollywood e su come la "città dei sogni" possa rivelarsi un feroce tritacarne per tante giovani ragazze avvenenti disposte a tutto pur di riuscire a sfondare nel cinema, ma non è così. Pur senza eccellere in originalità, questo ritratto di sogni infranti si avvale di uno stile dal taglio underground per molti versi vicino al mockumentary, di un'energia disarmante in costante bilico tra il comico e il tragico, e di una grandissima interpretazione della protagonista Naomi Watts, che regge tutto il film sulle sue spalle e dimostra un talento versatile di ammirevole spessore. Mai distribuito e praticamente sconosciuto nel nostro paese, meriterebbe il recupero già solo per apprezzare la matura performance dell'attrice anglo-australiana. Nel cast appare anche Keanu Reeves in un ruolo secondario. Per amanti delle produzioni indipendenti americane e delle pellicole anti-Hollywood.

Voto:
voto: 3/5

Diana - La storia segreta di Lady D (Diana, 2013) di Oliver Hirschbiegel

Ispirandosi alla biografia pubblicata nel 2001 da Kate Snell, "Diana: Her Last Love", e basandosi sulla sceneggiatura scritta da Stephen Jeffreys, il regista tedesco Oliver Hirschbiegel ha diretto questo biopic innocuo, mellifluo e grossolano, che racconta gli ultimi anni di vita di Lady Diana Spencer, Principessa del Galles, entrata in rotta di collisione con la famiglia reale britannica dopo la chiacchierata separazione dal Principe Carlo, adorata dal popolo, perseguitata dai media alla disperata ricerca di scoop scandalistici, divenuta icona mondiale di libertà ed emancipazione ben oltre la sua volontà e morta tragicamente, la notte del 31 agosto 1997, in un rocambolesco incidente stradale sotto il tunnel del Pont de l'Alma a Parigi, un evento che per molti è ancora oggi oggetto di illazioni e sospetti per la sue dinamiche sempre avvolte da un velo di mistero. Più che sulla tanto controversa love story tra Lady D e Dodi Al-Fayed, figlio del magnate egiziano Mohamed, la pellicola si concentra sul grande amore segreto della principessa, il cardiochirurgo pachistano Hasnat Khan, che sarebbe stato suo compagno di vita dal 1995 fino ai primi mesi del 1997, salvo poi troncare bruscamente la relazione, spezzando così il cuore della donna, per il parere avverso della sua famiglia e per l'esasperazione provocatagli dalla continua pressione mediatica a cui la coppia era sottoposta. Hasnat Khan, dopo aver visto il film, si è lamentato pubblicamente di come il regista e lo sceneggiatore avrebbero modificato gli eventi reali, inventando molti fatti mai accaduti e dando credito a tanti pettegolezzi che in quegli anni accompagnavano la vita sentimentale della "principessa triste". Al di là di questo va detto chiaramente che l'opera è un disastro su tutti i fronti: superficiale, melensa, approssimativa, imbarazzante nei suoi scivoloni nel camp e stilisticamente piatta, più vicina ad un mediocre prodotto televisivo che ad un film per il cinema. Gli mancano del tutto anche la personalità ed il coraggio per affondare il colpo e cercare una posizione polemica, scomoda, arguta; invece sceglie di allinearsi, a livello ideologico, verso uno sterile conformismo di maniera. L'unica cosa da salvare è l'efficace interpretazione della sempre brava Naomi Watts, che ha accettato il ruolo dopo parecchie riserve e ripensamenti, forse presagendo il flop della pellicola dopo aver letto lo script o forse per i comprensibili timori nel confronto con un personaggio tanto amato, famoso, ingombrante e discusso al tempo stesso. La Watts s'impegna molto e se la cava bene, riuscendo talvolta persino a catturare quello sguardo di ombrosa tristezza celato sotto l'immagine di impeccabile facciata di Lady D.
 
Voto:
voto: 1,5/5