mercoledì 30 aprile 2014

Venere in pelliccia (Venus in Fur, 2013) di Roman Polanski

Da una piece teatrale di David Ives, a sua volta ispirata dall'omonimo romanzo erotico di Leopold von Sacher-Masoch, Polanski ha tratto un sottile dramma da camera, interamente ambientato su un palcoscenico teatrale, che mette in scena l'eterno gioco della seduzione in cui tutto è lecito. Un regista teatrale (Amalric) sta provinando attrici in cerca della protagonista femminile per il suo adattamento della Venere in pelliccia di Sacher-Masoch e qui si presenta, in evidente ritardo, una donna volgare e nervosa (Seigner). Le iniziali remore del regista cadono di fronte all'incredibile trasformazione della donna che, quando va in scena, diventa un'altra e appare subito come la protagonista perfetta per il ruolo. Ma ben presto il gioco a due va oltre e la finzione scenica comincia a confondersi con la realtà al punto che diventa difficile distinguere persone e personaggi. Il cinema di Polanski è sempre stato basato sull'ambiguità, sul lato oscuro dell'animo umano e sulle situazioni stranianti che da ciò possono derivare. Qui il palcoscenico, unico ambiente del film a parte le due brevi carrellate esterne all'inizio e alla fine, diviene metafora della vita in cui la recitazione è spesso una regola, specie nel rapporto di coppia quasi sempre fondato su fragili compromessi che possono celare abissi imperscrutabili di solitudine esistenziale e di verità nascoste. La seducente Seigner ha ancora il physique du rôle e il carisma necessario per sostenere il peso di una sceneggiatura scritta su di lei e per lei e giganteggia su Amalric, il cui personaggio è, volutamente, messo in ombra. Il malizioso gioco a due, da lei abilmente condotto con conturbante perfidia, assume i contorni di un perverso meccanismo di scavo interiore che, mentre svela, confonde, finendo per scompaginare ogni cosa, persino le identità dei protagonisti. Affascinante ed arguto, ma forse troppo cerebrale in alcuni passaggi, quest'ultimo film di Polanski è un raffinato esercizio di stile costruito sul fascino dell'ambiguo e sull'erotismo psicologico. I fans del regista apprezzeranno.

Voto:
voto: 4/5

Nymphomaniac - Volume 2 (Nymphomaniac: Vol. II, 2013) di Lars von Trier

Secondo capitolo della lunga seduta di autonalisi con cui il regista danese si mette "a nudo", evidenziando la sua natura "bipolare", di cui Joe e Seligman rappresentano, appunto, gli estremi opposti. Questo processo, che è alla base dell'opera, appare ancora più evidente, rispetto al film precedente, in questa parte finale che è anche più cupa, più provocatoria, più cattiva ma, tutto sommato, meno geniale del capitolo I. Il viaggio della ninfomane Joe prosegue da dove si era interrotto, ovvero dalla perdita improvvisa del piacere sessuale (per "colpa" dell'amore), per cui la nostra inizia un tenebroso percorso di esplorazione di tutte le tendenze, perversioni e deviazioni della materia erotica. Con lucido rigore, ed evidenti influenze sadiane, von Trier ci immerge in un caleidoscopio di situazioni estreme, tutte profondamente amorali, alternando sadismo, blasfemia, stereotipi, ironia nera, depravazione e citando espressamente il suo precedente Antichrist (anche allora con la Gainsbourg musa protagonista). Il percorso, doloroso, di Joe appare quasi scientifico nella sua disperata ricerca di un'identità attraverso il piacere, per mezzo del quale affermare il proprio io, abbattere la solitudine indotta dalla "diversità" e separare risolutivamente il sesso dall'amore. Rispetto al volume I questo è un film più tetro, più filosofico, meno geniale, ma forse ancora più efficace per spessore tematico, profondità simbolica e vertigine morale inevitabilmente indotta. Il finale nichilista e, probabilmente, inevitabile sancisce definitivamente la radicale misantropia dell'autore ma esprime anche, chiaramente e coraggiosamente, la sua posizione in merito alla questione "ragione vs. istinto", pilastro del film. L'insieme delle due parti è, senza alcun dubbio, l'opera della piena maturità ed il manifesto più intimo del regista nordico.

Voto:
voto: 4/5

Alabama Monroe - Una storia d'amore (The Broken Circle Breakdown, 2012) di Felix Van Groeningen

Storia d'amore travolgente e sensuale tra due giovani vitali e alternativi: lui, Didier, è un cowboy della mitteleuropa, cresciuto col mito dell'America rurale, suonatore di banjo in un gruppo folk di musica bluegrass, ovvero il country americano nella sua forma più pura. Lei, Elise, è una tatuatrice che sprizza erotismo da ogni poro di quella pelle diafana su cui ha deciso di "scrivere" le tappe principali della sua vita, ricoprendo con nuovi tatuaggi quelli degli amori passati. Ma la vita ha in serbo per loro la più tragica delle prove, quando la piccola Maybelle, frutto imprevisto della loro passione, si ammalerà di una terribile malattia. Felix Van Groeningen mette in scena un melodramma straziante che evita saggiamente il "ricatto" morale, tipico dei film strappalacrime, grazie ad una struttura a mosaico che ci mostra la storia in modo non lineare ma con continui salti tra presente e passato, alternando i momenti più drammatici a quelli più felici e creando un alienante ossimoro tra il dolore della situazione e l'energia trascinante della musica country. Paradossalmente, ma inevitabilmente, lo spettatore finisce per "piangere" mentre, col piede, batte il tempo seguendo i ritmi avvolgenti del bluegrass. Ma è proprio questa la forza innovativa del film, insieme all'interpretazione intensa di due interpreti straordinari, così coinvolgente che sarà difficile cancellarla dalla memoria. Va anche dato atto al regista di aver evitato i patetismi abituali dei film di questo tipo, con la scelta di limitare gli indugi lacrimevoli nelle scene drammatiche, favorendo, invece, una maggiore compostezza e mettendo a fuoco gli effetti disgregativi del dolore sul rapporto di coppia. La parte finale si concede qualche eccesso, con il sottotesto politico, vera anima dell'opera, declamato forse con troppo livore, ma straordinariamente efficace per le domande etiche sollevate, chiara espressione di quello spirito liberal e anticonformista dell'Europa centrale, che si oppone ai dogmatismi intransigenti imposti da religione e politica sulle questioni morali inerenti a malattia, ricerca scientifica e sperimentazione medica. L'epilogo è tanto inevitabile quanto toccante, per la sua atmosfera straniante, che riassume perfettamente lo spirito dell'opera: coraggiosa e potente.

Voto:
voto: 4/5

venerdì 25 aprile 2014

Interstate 60 (Interstate 60: Episodes of the Road, 2002) di Bob Gale

Neil è un giovane pittore che vede le sue ambizioni artistiche ostacolate dal severo padre, che lo vorrebbe studente di legge a Oxford. L'incontro con l'enigmatico One Wish Grant, persona che si dice in grado di esaudire i desideri della gente, lo spinge in un viaggio avventuroso su una strada che non esiste (la Interstate 60), diretto verso una città che non esiste. Tra i tanti incontri che farà, Neil cerca soprattutto la ragazza che popola i suoi sogni notturni e che gli ispira i suoi dipinti. Favola surreale dai risvolti fantasy e dai toni da commedia, che affronta con fresca leggerezza temi eterni come i bivi che il destino ci mette davanti e la speranza di una seconda occasione per rimediare agli errori del pasato. Su tutto aleggia la figura archetipo del "genio della lampada" capace di esaudire i desideri di chi lo incontra, ma bisogna fare molta attenzione a ciò che si desidera. Nel viaggio metaforico sulla strada che non c'è, alla ricerca di se stesso e dell'amore, il protagonista incontra personaggi stravaganti, non tutti pienamente riusciti. Il livello di moralismo e sentimentalismo è, tutto sommato, accettabile per un film che offre un piacevole intrattenimento, senza prendersi mai troppo sul serio. Di buon livello il cast che annovera Gary Oldman, Chris Cooper, Christpher Lloyd (in un incisivo cameo) ed il protagonista James Marsden.

Voto:
voto: 3/5

Watchmen (Watchmen, 2009) di Zack Snyder

In un alternativo 1985 i supereroi sono parte integrante della società, in un mondo diviso da un'acerrima "guerra fredda" tra USA e Unione Sovietica. Il vigilante mascherato Rorschach è convinto che la tragica fine di uno dei suoi ex colleghi, il Comico, sia solo l'inizio di un letale complotto ai danni degli eroi mascherati e riunisce la sua vecchia squadra per chiedere aiuto. Ciò che scopriranno andrà oltre ogni immaginazione. Ambizioso e vibrante adattamento dell'ucronia di Alan Moore e Dave Gibbons, apoteosi del politicamente scorretto, tra guerra fredda e personaggi ruvidi quanto detestabili. Snyder non sembra lui e parte alla grande, con dei titoli di testa memorabili (quello che resterà di questo film) ed una prima parte affascinante che contamina il noir classico di sprazzi futuristici. Quando poi il film vira decisamente nel fantastico, soprattutto grazie al personaggio "onnipotente" di Manhattan, iniziano i problemi e la mano pesante del regista trasforma il tutto in una sarabanda fracassona in cui il vezzo estetico autoreferenziale abbonda, ma le suggestioni metaforiche della prima parte sono svanite. Un colosso dai piedi d'argilla ed una buona occasione mancata.

Voto:
voto: 3/5

Iron Man (Iron Man, 2008) di Jon Favreau

Tony Stark, magnate ricco e geniale che opera nel settore degli armanenti per conto del governo USA, viene catturato da un gruppo di ribelli nemici durante un test militare in Afghanistan. Ferito vicino al cuore da una scheggia di granata che non può essere estratta, il nostro finge di assecondare la richiesta del leader dei rapitori di costruire armi per lui e si dedica alla creazione di una innovativa armatura che, da un lato, gli consente una rocambolesca fuga e, dall'altro, lo mantiene in vita impedendo al frammento di metallo di entrare nel suo cuore tramite un sistema di magneti. Una volta tornato a casa, Stark perfeziona la sua invenzione, grazie alla quale diventerà Iron Man, supereroe volante in lotta contro il crimine. Chi è l'eroe ? L'uomo o l'armatura ? Favreau riporta sul grande schermo il dilemma alla base del personaggio di Iron Man, con una buona componente spettacolare ed una discreta sceneggiatura. Il resto lo fanno gli attori, in particolare il brillante Robert Downey Jr. (perfetto nel ruolo del geniale milionario seduttore Tony Stark, un po' guascone e un po' canaglia) ed il carismatico Jeff Bridges, che riesce a donare spessore ad un villain altrimenti stereotipato. Con tanta ironia, tanta azione e tanto glamour questo trionfo del politicamente corretto riesce ad intrattenere piacevolmente. Impensabile portare avanti la saga senza Downey jr.

Voto:
voto: 3/5

Hellboy: The Golden Army (Hellboy II: The Golden Army, 2008) di Guillermo Del Toro

La fine di un'antica tregua tra la razza umana e il mondo fantastico provoca l'arrivo di una terribile minaccia: il principe infernale Nuada, che risveglia un esercito di macchine assassine per sterminare la razza umana. Toccherà al rude Hellboy il compito di bloccarlo, ma non prima di avere risolto le beghe interne al suo dipartimento di ricerche paranormali, che vedono coinvolta anche la sua vulcanica ragazza Liz. Mirabolante secondo episodio delle avventure del demone creato dalla penna di Mike Mignola e portato sul grande schermo da Del Toro. Come al solito col regista messicano si procede a due livelli: il mondo reale e quello fantasy e, ancora una volta, le note liete arrivano dal secondo. Del Toro concilia il suo innato senso dell'orrido con uno spettacolare apparato visionario che si esplica attraverso luoghi, situazioni e creature che appaiono "credibili" attraverso dialoghi esilaranti sempre sospesi tra cinismo e tenerezza. Esteticamente Del Toro non si discute e le sue suggestioni lovecraftiane donano un fascino "antico" al fantasy moderno. Davvero bravi Ron Perlman e Selma Blair.

Voto:
voto: 3,5/5

Sin City (Sin City, 2005) di Frank Miller, Robert Rodriguez

A Sin City crimine, corruzione, oscenità e violenza sono di casa. Nelle strade buie della città del peccato si muovono sinistri personaggi dall'animo violento e dall'indole tormentata: il gigante sfigurato Marv, tenero con le ragazze e feroce con i nemici, lo sbirro Hartigan, che mette in gioco la sua vita per salvare la bella Nancy da un pedofilo omicida, l'ambiguo Dwight, con un passato oscuro alle spalle e innamorato di Gail, sexy leader di una gang di prostitute assassine. E poi ancora il serial killer cannibale Kevin, il viscido Jackie Boy e i corrotti fratelli Roark, uno senatore e l'altro cardinale, che reggono i fili della malavita di Sin City. Dall'omonima serie a fumetti di culto il suo creatore Frank Miller e l'estroso Robert Rodriguez hanno tratto un formidabile film nero (diviso in quattro episodi più un prologo e un epilogo), in cui l'estetica noir è il vero protagonista. La rilettura in chiave moderna del noir "hard boiled" di Hammett e Chandler, ereditata pari pari dalla graphic novel, è formidabile e si arricchisce di elementi esotici e suggestioni pulp con maggiori dosi di sesso, sangue e violenza. Dal punto di vista stilistico e visuale ci troviamo di fronte ad una pietra miliare del genere, un nuovo modello con cui fare i conti perchè Sin City non è semplicemente l'adattamento di un comic ma è proprio un fumetto on-screen: le scenografie, i personaggi, le situazioni ne seguono le regole, i movimenti ed i tempi con un vigore plastico ed uno splendore visivo mai visto prima. E' senza dubbio il miglior cinecomic mai realizzato nell'ambito della produzione occidentale. Tarantino ha collaborato con il suo "brother" Rodriguez dirigendo alcune scene del quarto episodio.

Voto:
voto: 4/5

V per Vendetta (V for Vendetta, 2005) di James McTeigue

Distopia orwelliana di fantapolitica tratta da una graphic novel di Alan Moore, scritto e prodotto dai Wachowski da cui eredita l'estetica fedelmente riprodotta dal sodale McTeigue. In una futuribile Inghilterra vige uno spietato sistema totalitario ma un uomo in maschera che si fa chiamare V (Hugo Weaving) ed una giovane ragazza (Natalie Portman) cercano di spezzare le catene dell'oligarchia e salvare il "mondo". I punti di forza sono l'efficace costruzione di questo mondo indesiderabile sospeso tra futurismo e vintage (secondo i canoni cari ai Wachowski) , la buona chimica tra i due protagonisti che reggono la scena con efficacia e, ovviamente, il carismatico personaggio di V, un misto tra Robin Hood, il fantasma dell'opera e Zorro, reso ancora più affascinante dalla maschera impenetrabile che non ne svela mai il volto. Alcune trovate visive sono eccellenti (su tutte la bella sequenza finale degli insorti mascherati da V) ma i sottotesti politici restano vagamente in superficie e il plot non brilla di certo per imprevedibilità. Rimane comunque un buon intrattenimento "action" per il pubblico mainstream.

Voto:
voto: 3/5