domenica 5 novembre 2017

Lupo solitario (The Indian Runner, 1991) di Sean Penn

Joe e Frank Roberts sono due fratelli del Nebraska legati da un antico e sincero affetto ma profondamente diversi tra loro. Joe è un uomo tranquillo e per bene, felicemente sposato con una avvenente messicana da cui ha avuto uno splendido bambino, diventato capo della polizia della sua cittadina dopo aver abbandonato, suo malgrado, il sogno di fare l'agricoltore nella vecchia fattoria di famiglia, espropriata dal governo. Frank è un ribelle inquieto, violento e votato all'autodistruzione, incapace di condurre una vita regolare e con una propensione naturale a mettersi nei guai, in pessimi rapporti con i genitori che non ne hanno mai tollerato la turbolenza. Dopo il ritorno di Frank dalla guerra in Vietnam, Joe cerca in tutti i modi di ricostruire un rapporto con lui e di guidarlo sulla retta via, dimostrandosi sempre amorevole, tollerante e prodigo di buoni consigli verso lo scapestrato fratello. Quando Frank allaccia una relazione stabile con la bella Dorothy e, dopo averla messa incinta, si decide a trovare un lavoro onesto come carpentiere, Joe crede di avere finalmente raggiunto il suo obiettivo. Ma i demoni interiori e le cattive abitudini sono sempre in agguato. L'esordio registico dell'attore Sean Penn è un crudo dramma familiare, teso e puro, fieramente indipendente per concezione e realizzazione, e fortemente ambizioso nella sua natura di parabola antropologica che mette in scena il conflitto tra il lato oscuro della natura umana e la forza dei legami di sangue. Ed è proprio il sangue un elemento pregnante della pellicola, sempre presente con evidenti allusioni simboliche nelle scene cruciali che oscillano tra la ricerca esasperata di un brutale effettismo e la tensione introspettiva dell'apologo morale. Tra echi biblici (Caino e Abele) e suggestioni ancestrali di natura epica (il racconto metaforico sui nativi americani che contiene il senso intimo dell'opera e che si collega perfettamente al titolo originale, totalmente stravolto e banalizzato da quello italiano), il film procede pedissequamente come adattamento fedele del testo del brano "Highway Patrolman" (1982) di Bruce Springsteen, rivelando (già solo per questo) l'approccio originale e autoriale di Penn regista. Ma non tutto funziona perfettamente: la pellicola è talvolta squilibrata, sicuramente troppo lunga, qua e là eccessiva nelle soluzioni visive e, nell'ottimo cast, appare francamente discutibile la presenza di Valeria Golino nel ruolo di una messicana (con gli occhi verdi!). Molto bravi invece i due attori protagonisti (David Morse e Viggo Mortensen all'apice del suo fascino "maledetto", che non manca di regalarci l'ennesima scena di nudo integrale della sua carriera da anticonformista) e anche il resto del cast è da elogiare: da Patricia Arquette al carismatico Dennis Hopper, passando per un insolito, intenso e commovente Charles Bronson alla sua penultima apparizione sul grande schermo. In questo aspro ritratto della provincia americana, sanguigno, manicheo e potente nel suo ineluttabile incedere drammatico, Penn regista dimostra di possedere talento, ambizione ed un teatrale senso tragico da affinare (e asciugare) con la composta saggezza che solo l'esperienza sa donare. In ogni caso l'esordio è promettente e degno di attenzione. Alla sua uscita il film è passato totalmente in sordina, ma non ha mancato di suscitare polemiche per alcune scene di forte impatto come quella del parto naturale mostrato con dovizia di particolari.

Voto:
voto: 3,5/5

Nessun commento:

Posta un commento