lunedì 31 maggio 2021

La chiave di vetro (The Glass Key, 1942) di Stuart Heisler

Paul Madvig è un potente faccendiere losco e corrotto, implicato con politicanti e criminali, e innamorato follemente della bella Janet. Pur di compiacerla, l'uomo sostiene la candidatura del padre Ralph Henry alla carica di governatore. Ed Beaumont è il braccio destro di Paul, suo fedele amico e tuttofare. In vista delle elezioni Madvig decide di ripulire la sua immagine e rompe i suoi legami di affari con il gangster Nick Vanda, ma questi si vendica facendolo accusare dell'omicidio del giovane fratello di Janet e poi fa picchiare selvaggiamente Beaumont dai suoi scagnozzi. Per nulla intimorito Beaumont inizia ad indagare per far scagionare l'amico. Dal romanzo omonimo di Dashiell Hammett, padre letterario del poliziesco hard-boiled, Stuart Heisler ha tratto un noir cupo e violento, il ritratto spietato di un mondo decadente e corrotto, dominato da tradimenti, complotti, avidità e prevaricazione. Molto fedele al racconto ispiratore (già adattato per il cinema nel 1935 da Frank Tuttle), questo giallo cinico e sordido presenta personaggi tutti negativi, con la sola eccezione del protagonista Ed Beaumont, che, seppure fortemente ambiguo e impelagato in losche trame, ha un suo codice morale di riferimento, a cominciare dall'amicizia che lo lega al suo datore di lavoro. Nel cast svetta la coppia Alan Ladd e Veronica Lake (splendida nei panni di una seducente dark lady), ma anche il Madvig di Brian Donlevy è notevole. La celebre scena del brutale pestaggio di Ed fu un autentico pugno allo stomaco per gli spettatori, per la violenza e per la durata, assolutamente inusuali per l'epoca. Il romanzo di Hammett fu parziale fonte d'ispirazione anche per il successivo La sfida del samurai (1961) di Akira Kurosawa e quindi, indirettamente, anche per il suo "clone" western Per un pugno di dollari (1964) di Sergio Leone. E, non a caso, sarà proprio Leone il primo regista a mostrare impunemente la violenza esplicita sul grande schermo, infrangendo così una delle regole tacite del western classico fordiano. Corsi e ricorsi della storia del cinema che si mescolano anche in film così distanti e così apparentemente diversi tra loro.
 
Voto:
voto: 4/5

Il fuorilegge (This Gun for Hire, 1942) di Frank Tuttle

A San Francisco Philip Raven, killer a pagamento, viene assoldato da un industriale chimico per far fuori un suo rivale e sottrargli dei documenti compromettenti. Ma si accorge di essere stato ingannato: il mandante lo ha pagato con banconote segnalate alla polizia in modo che possa essere catturato. Raven intende fargliela pagare e parte per Los Angeles in cerca di vendetta. Sul treno incontra una splendida bionda, Ellen, cantante di night club da cui si sente subito attratto. Ma la donna non è chi dice di essere e ha una doppia vita segreta. Liberamente ispirato al romanzo "Una pistola in vendita" di Graham Greene, questo poliziesco nero di Frank Tuttle viene generalmente considerato uno dei precursori del noir americano, per la natura del personaggio di Raven che possiede tutte le caratteristiche degli antieroi negativi che saranno un marchio di fabbrica del genere (cinismo, ambiguità, tormento interiore, disincanto, fascino rude e maledetto e da non dimenticare anche l'impermeabile, che diventerà ben presto un classico per la categoria). Per interpretare il gelido Raven il regista scelse Alan Ladd (cambiando la decisione iniziale della Paramount che invece avrebbe voluto Robert Preston, poi destinato nel ruolo di un poliziotto). Questo cambiò per sempre la carriera di Ladd, che all'epoca era già un attore esperto con decine di film all'attivo, ma poco conosciuto dal grande pubblico. Grazie al personaggio di Raven, Ladd divenne rapidamente un divo del poliziesco anni '40 e, a partire da questo film, inizierà anche la sua storica collaborazione con Veronica Lake, dando vita ad un duo di immediato affiatamento e di grande successo per tutto il decennio, da molti indicato come credibile alternativa alla celeberrima coppia (targata Warner) Humphrey Bogart e Lauren Bacall. Non molti sanno che inizialmente il fortunato abbinamento Lake-Ladd avvenne per motivi quasi casuali legati alla statura dell'attrice: la Lake era alta appena 1.51 m e per questo le venne affiancato Ladd che, con il suo 1.65 m, era il più basso tra gli attori del cast. Il rapporto tra i due fu artisticamente molto proficuo (7 film insieme e grande successo di pubblico per tutti gli anni '40) e anche al di fuori delle scene Ladd si dimostrò sempre molto affettuoso e protettivo verso la bella attrice, anche quando iniziarono i suoi problemi psicologici, caratteriali ed esistenziali, che la spinsero inesorabilmente in un tragico tunnel da cui non riuscì mai a riemergere. A soli 30 anni la Lake fu bollata come persona disturbata e attrice ingestibile, finì presto ai margini del sistema hollywoodiano e poi in un triste oblio che ne peggiorò il già delicato equilibrio caratteriale. Segnata da problemi familiari, economici, sentimentali, depressione, nevrosi e alcolismo, morirà a soli 50 anni di cirrosi epatica, dimenticata da (quasi) tutti, a parte i pochi amici devoti tra cui Alan Ladd che l'ha sempre difesa strenuamente fino alla fine dei suoi tormentati giorni da diva "maledetta". Il fuorilegge è, dunque, un film importante e rappresentativo, già solo per motivi storici e per le sue influenze sul genere noir. Dal punto di vista crime l'opera è notevole, carica di atmosfere oscure e di fascino inquietante, e anche di una violenza esplicita poco usuale per l'epoca. Contiene diverse sequenze memorabili (su tutte quella della caccia all'uomo nella nebbia è straordinaria) e fu anche la prima pellicola americana a parlare di psicoanalisi (il killer Raven uccide per scacciare dei traumi infantili). Più debole è invece la parte di propaganda bellica filo-americana, che fu introdotta per compiacere il pubblico dopo le modifiche apportate a causa della diversa ambientazione temporale rispetto al romanzo originale (ovvero con la guerra in corso). James Cagney ne ha fatto un remake nel 1957, Scorciatoia per l'inferno, più orientato verso il genere gangster e ben più convenzionale, anche per colpa di un cast molto più debole. D'altra parte una coppia dello spessore e con l'alchimia di Alan Ladd e Veronica Lake non nasce certamente ogni decennio.
 
Voto:
voto: 4/5

Infedelmente tua (Unfaithfully Yours, 1948) di Preston Sturges

Un acclamato direttore d'orchestra, Alfred De Carter, torna a casa dopo una tournée, felice di potersi dedicare alla bella moglie di cui è follemente innamorato e notevolmente geloso. Una serie di voci gli fanno sorgere il sospetto che lei lo abbia tradito durante la sua lunga assenza. Corroso dalla gelosia il musicista immagina tre possibili reazioni mentre sta dirigendo la sua orchestra e a ciascuna di esse associa una musica diversa: Rossini per l'omicidio della moglie, Wagner per il perdono e Ciajkovskij per il duello col presunto rivale. Velenosa e raffinata commedia satirica di Preston Sturges, impreziosita dalla presenza della musica classica e dalle atmosfere sofisticate. E' una parodia bonaria del melodramma, in cui l'autore si diverte ad inscenare lo straniante contrasto di un uomo insicuro (della fedeltà della consorte) che deve però essere un modello di sicurezza per gli altri (i suoi orchestrali che pendono dai comandi della sua bacchetta). E' un ritratto in chiaroscuro di un protagonista dall'aspetto impeccabile e dalla granitica reputazione, che però sembra cedere intimamente al suo lato malvagio in nome del suo tallone d'Achille. L'attore Rex Harrison, da navigato professionista qual era, è perfetto nell'interpretazione di questo personaggio carico di sfumature, che durante il film varia più volte tono e registro passando dalla commedia slapstick al dramma, dall'eleganza alla cupezza, senza mai smarrire il filo del discorso e la credibilità espressiva. Al suo fianco Linda Darnell, costantemente fuori fuoco a causa della sceneggiatura che la penalizza, ma capace di lasciare la sua traccia sulla pellicola con lampi di sensualità. Il punto debole dell'opera è nel finale, eccessivamente macchinoso e facilmente prevedibile. Il film per certi versi anticipa le tematiche del successivo Lettera a tre mogli (A Letter to Three Wives, 1949) di Joseph L.Mankiewicz, che però le ribalterà al contrario nei ruoli (il presunto traditore è il marito invece della moglie). Nel 1984 ne è stato realizzato un debole remake, Un'adorabile infedele di Howard Zieff, con Dudley Moore e Nastassja Kinski, che offre maggiore spazio al personaggio femminile. Si dice che il personaggio di Alfred De Carter sia stato ispirato dal grande direttore d'orchestra inglese Sir Thomas Beecham. Il regista non ha mai smentito la cosa, quindi può considerarsi una curiosità credibile. 

Voto:
voto: 3,5/5

I dimenticati (Sullivan's Travels, 1941) di Preston Sturges

John Sullivan, famoso regista di commedie,  intende realizzare un film drammatico sulla povertà sociale e, per conoscere bene il mondo di cui intende parlare, si traveste da barbone vagabondo per vivere una reale esperienza direttamente sul campo. Durante il suo girovagare conosce una splendida aspirante attrice, già fortemente cinica e disillusa nonostante la giovane età. John le rivela la sua vera identità e lei, fortemente delusa dal mondo dello spettacolo che le ha dato solo delusioni, decide di uscirne e si offre di accompagnarlo nel suo viaggio, assecondandone il travestimento. Dopo molte peripezie l'uomo finisce in prigione per un tragico equivoco e la giuria, che lo condanna a sei anni, non crede alla sua storia. Quando finalmente riesce a dimostrarlo e viene liberato, Sullivan rinuncia al film e si convince che il suo destino è quello di far divertire la gente con i film leggeri. Celebre commedia a sfondo sociale di Preston Sturges, brillante ma dal retrogusto amaro, sospesa tra la parodia bonaria e il dramma civilmente impegnato, espressamente dedicata dal regista "a tutti gli uomini buffi e i clown che hanno fatto ridere la gente". E' il più famoso ed il migliore dei suoi film, la quintessenza della sua poetica orientata su un registro spumeggiante, gradevole, raffinato, ma anche attento alla densità dei contenuti, con garbati spunti di riflessione sulla società americana del suo tempo. La pellicola si avvale di due interpreti perfetti nei rispettivi ruoli come Joel McCrea e la bellissima Veronica Lake, che durante le riprese era incinta di 6 mesi senza averlo detto a nessuno, e che (forse anche per questo) appare ancora più radiosa e affascinante del solito. La Lake, poco conosciuta dal pubblico moderno e troppo presto dimenticata dagli altri, fu una vera icona di stile che attraversò con grazia, bravura e sensualità tutti gli anni '40, lasciando una traccia indelebile nel cinema hollywoodiano. Il titolo del film che Sullivan voleva girare era "Fratello, dove sei?", poi realizzato dai fratelli Coen nel 2000 in una delle loro commedie strampalate più stuzzicanti e divertenti.
 
Voto:
voto: 4/5

The Lady Eve (1941) di Preston Sturges

Durante una crociera su un transatlantico Charles Pike, giovane e ingenuo milionario americano, esperto di rettili (ma non di donne) e reduce da una spedizione in Amazzonia, viene adescato da una coppia di truffatori professionisti: un sedicente colonnello, abilissimo baro al tavolo da poker, e la sua bellissima figlia Jean, che con la sua sensualità riesce a irretire facilmente gli uomini ricchi per estorcergli denaro. Ma accade un inatteso imprevisto che compromette il piano della coppia e dà il via ad una serie di eventi rocamboleschi: la bella imbrogliona s'innamora della sua facile preda. Celebre commedia brillante di Preston Sturges, che lo ha scritto e diretto, sul filo sottile tra la farsa di costume e il racconto sentimentale. E' uno dei cavalli di battaglia della commedia classica hollywoodiana, un film brioso, agile, divertente, gustoso, a tratti irresistibile, con una coppia di interpreti eccezionali (Barbara Stanwyck e Henry Fonda), capaci di sorprendere il pubblico tirando fuori un inatteso talento frizzante in ruoli insoliti per la loro filmografia. La Stanwyck è, come sempre una bomba di magnetismo erotico, e, nella prima parte del film, dove interpreta un personaggio consono al suo aspetto da dark lady, ci regala una memorabile scena di seduzione (tutta girata in piano sequenza) che è rimasta nell'immaginario collettivo della vecchia Hollywood. Per molti questa fu una sorta di prova generale dell'attrice, di cui dopo pochi anni avrebbe tenuto conto nel dar vita al suo personaggio più famoso, la sexy spietata Phyllis Dietrichson nel capolavoro La fiamma del peccato (1944) di Billy Wilder. Efficace anche Charles Coburn nel ruolo del "colonnello" Harrington. Il film venne distribuito in Italia nel 1945, subito dopo la fine della guerra mondiale, e fu candidato all'Oscar per il miglior soggetto (Monckton Hoffe). Ha avuto un fiacco remake: Le tre notti di Eva (1956) di Norman Taurog con David Niven e Mitzi Gaynor.

Voto:
voto: 4/5

Sangue blu (Kind Hearts and Coronets, 1949) di Robert Hamer

Dal romanzo "Israel Rank" di Roy Horniman. Nel 1880 Louis Mazzini, figlio di una nobile inglese diseredata della stirpe dei D'Ascoyne e di un cantante italiano morto poco dopo la sua nascita, vive in povertà in uno squallido quartiere londinese. Quando i D'Ascoyne negano il permesso di sepoltura della madre nella tomba di famiglia, Louis decide di vendicarsi e, per riprendersi quel titolo aristocratico che lui ritiene suo di diritto, elimina gli otto ancora viventi dell'albero genealogico dei D'Ascoyne. Diventa così Duca ed è conteso tra due donne: la vedova Edith e l'ambiziosa Sibella, che è sposata con il suo rivale Lionel. Quando quest'ultimo muore improvvisamente, Louis viene arrestato e condannato a morte per l'unico delitto che non ha commesso. Ma Sibella, che non gli è mai stata indifferente, pensa a uno stratagemma per scagionarlo. Straordinaria commedia satirica al vetriolo di Robert Hamer, prodotta dagli studi Ealing, che in quel periodo si affermarono come leader inglesi in questa categoria. E' uno dei capolavori indiscussi del genere e la prima black comedy del cinema britannico. E' dunque una pietra miliare, un archetipo, che si distingue per la forza di un’ironia mai sentenziosa, di mordacità trattenuta, dal tono parodistico elegante e mai sopra le righe, tutto all'insegna di una distorsione allegorico machiavellica degli eventi che altera persino la linearità della narrazione, in funzione del piano di Louis. Più che ridere si ghigna (ma di gusto), grazie ad una satira in egual misura intelligente e paradossale, sempre sobria e al servizio del cast, in cui il protagonista è Dennis Price, ma svetta un camaleontico e strepitoso Alec Guinness, che interpreta ben 8 ruoli diversi, ovvero le vittime designate per la corsa al ducato, anticipando quello che poi sarà ripetuto da Peter Sellers con Kubrick negli anni '60. Le interpreti femminili sono Valerie Hobson e Joan Greenwood. Ideali compagni di scuderia coevi di questo film sono sicuramente Monsieur Verdoux (1947) di Charlie Chaplin  e Le roman d'un tricheur (1936) di Sacha Guitry. Negli Stati Uniti i distributori imposero un finale leggermente diverso, meno ambiguo e più edificante, in accordo al moralismo nazionale.
 
Voto:
voto: 4,5/5

La vita a modo mio (Nobody's Fool, 1994) di Robert Benton

Donald Sully è un sessantenne ex muratore che vive in una piccola cittadina di provincia, dove si arrangia a fare il factotum della comunità, in cui tutti si conoscono. Sully è uno spirito libero dai modi spicci, generoso con gli amici ma poco affidabile negli affetti, si è separato quando il figlio era molto piccolo, non ha mai saputo fare il padre e non conosce i suoi nipoti. La bella Toby, infelicemente sposata con un viscido donnaiolo, ha un debole per lui, nonostante la differenza di età. Il ritorno improvviso del figlio, in crisi coniugale, avvicina Sully ai nipotini, gli consente di riflettere sugli errori di gioventù e gli restituisce quel senso di famiglia che non aveva mai avuto prima. Adattando il romanzo "La vita, secondo me" di Richard Russo, il regista Robert Benton ha scritto e diretto questo delicato e insolito dramma d'ambiente, un film di attori che punta tutto sui personaggi lasciando fuori fuoco l'intreccio narrativo e che, con tono dolce amaro, tratteggia un affresco sfumato di sincera umanità, smontando alla radice il mito (tutto americano) del successo personale. E' un film pudico e vibrante di pulsioni mai sopite, occasioni perdute e voglia di ricominciare, un lucido ritratto dell'America di provincia che non giudica, non assolve, non risolve e non rincuora in modo definitivo i personaggi, ma li accompagna in un tratto del loro percorso rimanendo al loro fianco. Grande il cast in cui svetta un intenso Paul Newman (tornato ad un ruolo degno del suo mito) e, al suo fianco, Melanie Griffith, Bruce Willis, Pruitt Taylor Vince, Dylan Walsh e la compianta Jessica Tandy, scomparsa a 85 anni subito dopo la fine delle riprese. Due nomination agli Oscar (Newman e la sceneggiatura di Robert Benton) e Orso d'Argento al Festival di Berlino per il grande attore.
 
Voto:
voto: 3,5/5

I racconti del cuscino (The Pillow Book, 1996) di Peter Greenaway

Kyoto, anni '70. La giovane Nagiko viene iniziata dal padre scrittore (succube di un editore dispotico e licenzioso) all'arte della scrittura sul corpo. Una volta maggiorenne è ossessionata da questo tipo di arte e dall'antico libro del XI secolo "I racconti del cuscino", in cui si descrive la storia di una cortigiana che compilava minuziosamente un diario personale segreto. Decide di lasciare il marito che è stata costretta a sposare senza amore e si trasferisce a Hong Kong alla ricerca di amanti disposti a scrivere sul suo corpo. Si innamora di Jerome, un traduttore inglese che la convince a invertire il processo: sarà lui a fare da "carta" e lei da scrittrice. Ma il passato torna a bussare alla sua porta. Nella tradizione giapponese i così detti "libri del guanciale" erano un genere di letteratura erotica che raccontavano le esperienze intime delle geishe, che venivano solitamente utilizzati come manuali di vita sessuale e nascosti nel guanciale di legno di moda ai tempi. Questo melodramma sensuale di Peter Greenaway (liberamente ispirato al racconto "Pillow Book" di Sei Shonagon) è un film labirinto di atmosfere conturbanti e suggestioni sensoriali, una metafora astratta che mette in relazione il sesso e la letteratura, dove il corpo diventa libro e la scrittura un'estensione psicologica dell'atto erotico. E' un film coerente con l'estetica di Greenaway, forsennato sperimentatore e feticista dell'immagine, che nel suo cinema colto e provocatorio diventa quadro teorico, visione sopraffina, pennellata concettuale, la cura dei dolori del mondo attraverso il conforto sublime dell'arte. Era quasi inevitabile un suo "incontro" con la cultura giapponese, in cui l'elemento basilare del linguaggio (l'ideogramma) è già di per sè una forma di arte visiva, che ha affascinato numerosi artisti e intellettuali occidentali nel corso degli anni. In quest'opera raffinata e avvolgente, in cui spiccano le interpretazioni della splendida Vivian Wu e di Ewan McGregor, lo stile dell'autore indulge un po' troppo nel manierismo e nella dilatazione dei tempi, risultando sempre potente ma meno inventivo del solito nella resa narrativa. E se è eccitante perdersi nei meandri nascosti di questa pellicola e venirne ammaliati, il tutto diventa altresì estenuante e talvolta repulsivo, in bilico tra piacere e dolore.

Voto:
voto: 3,5/5

L'ultima tempesta (Prospero's Books, 1991) di Peter Greenaway

Dall'opera teatrale in 5 atti "La tempesta" di William Shakespeare. Il vecchio Prospero, spodestato dal crudele fratello Antonio, Duca di Milano, viene confinato su un'isola insieme alla figlia Miranda e all'orrida creatura Calibano, figlia illegittima della strega Sicorax. Prospero si dedica alla magia oscura e porta con sè 24 libri contenenti tutto il sapere umano. L'uomo scatena una tempesta che fa naufragare la nave del Re di Napoli Alonso, che approda naufrago sull'isola insieme a suo figlio Ferdinando, ma entrambi cadono vittime di una malia del vecchio stregone. Intanto Calibano trama alle spalle dell'incantatore insieme a due marinai della ciurma di Re Alonso. Sperimentale dramma fantastico grottesco di Peter Greenaway che, manipolando con estro figurativo e stile barocco il testo shakespeariano, porta ai vertici estremi la sua poetica in questo complesso film corale allegorico che mette insieme un magniloquente compendio di arti visive (teatro, danza, musica, animazione, scultura, pittura, opera, canto, pantomima, grafica in alta definizione) per conferire una forma sfuggente e suggestiva ai libri di Prospero. Concettualmente diviso in quadri e ispirato all'arte pittorica di Tiziano Vecellio, è una metafora delirante di suoni, immagini, figure retoriche e simboli arcani, in cui tutto è suggerito più che recitato, in un'astratta sinfonia che celebra le illusioni umane e il senso del meraviglioso, alla ricerca effettistica dell'arte assoluta, mescolando l'atmosfera sacra del teatro classico all'utilizzo straniante di moderne tecnologie video per enfatizzare al massimo i colori (il sistema Paintbox sviluppato dalla Quantel). L'arcana lotta tra il bene e il male della mitologia pagana, la furia degli elementi naturali, la relazione tra potere e conoscenza, l'utopia dell'onniscienza, l'uso dell'occultismo soprannaturale come strumento di vendetta, vengono trasposti in un flusso forsennato di invenzioni visive, in cui la parola ridefinisce l'immagine e viceversa. Il fine ultimo di quest'opera tanto ricca quanto ermetica, è una meditazione sul concetto intimo di percezione: ovvero la relazione tra l'ambiente che osserviamo e la cornice (stile) che lo definisce, modificandone il senso e creando un processo di interiorizzazione artistica della "realtà". E' inevitabile che un'opera di questo tipo alimenti il sospetto di uno sterile esercizio stilistico autoreferenziale, ma il fascino e la fantasia superiore dell'operazione sono indiscutibili, così come, conoscendo la carriera del regista, è innegabile che questa pellicola costituisca un punto di arrivo inevitabile, coerente e definitivo della sua ricerca estetica. E' un film difficile ma sottilmente seducente, adatto ad un pubblico colto amante del teatro, di Shakespeare o di un cinema weird,  una piccola sfida intellettuale e sensoriale che si gioca al di fuori degli schemi abituali della fruizione cinematografica.

Voto:
voto: 4/5