Vera è una fixer, procura cose. Sta al soldo di una banda di serbi: Dragan, il capo indiscusso, fervente cattolico dalla morale e dalla lettura della Bibbia distorte; Goran, il tuttofare; Milorad, che una volta è stato sepolto vivo. E poi ci sono Gaetano e Bruno, che si sono conosciuti a San Vittore, due criminali di piccola taglia quasi più per necessità che per convinzione. I serbi girano per la città amministrando con il terrore i loro affari, gli italiani si affaccendano con piccole rapine. Poi un giorno Gaetano ha una dritta su un furgone portavalori con un carico da tre milioni euro, e va da Dragan a proporgli l'affare. Ma non tutto è come sembra, perché all'incontro tra i due gruppi Vera riconosce Bruno e Bruno riconosce Vera: sono fratello e sorella, e mentre lui è soltanto un criminale che cerca disperatamente di rimettersi in riga per sé e per la figlia Marta, Vera è una poliziotta infiltrata...
Doppie identità, tormenti religiosi, rapine, ricatti: non manca nulla al mondo criminale del film, dove tutti sono prigionieri, lupi e pecore insieme.
La aspettavamo, Lyda Patitucci. Già, perché questo Come pecore in mezzo ai lupi è un esordio importante per il cinema italiano. E lo è per tanti motivi. Primo: Patitucci si è fatta le ossa - e gli occhi - gestendo le seconde unità più complesse degli ultimi anni, da Veloce come il vento ai due seguiti di Smetto quando voglio a Il primo re, per poi arrivare alla regia televisiva/da piattaforma con Curon. Secondo: tutti questi lavori fanno parte del carnet di titoli di Groenlandia (tranne Curon, del duo Netflix/Indiana), la casa di produzione fondata da Matteo Rovere e Sydney Sibilia, vera e propria factory alla continua ricerca del nuovo nome da far crescere e lanciare. Terzo: la prima regia cinematografica di Patitucci è orgogliosamente dentro il genere, in questo caso il crime, in un modo così diretto da essere perfino sprezzante.
Quindi, cos'è Come pecore in mezzo ai lupi? È, come la sua regista, tante cose. Un crime, dicevamo, come non ne vedevamo da tempo da queste parti, tirato, sottopelle, duro più nei sentimenti che nei corpi. Corpi, poi, sempre sul punto di esplodere, ma mai davvero ottusamente pompati, piuttosto induriti controvoglia, piagati non sull'epidermide ma più a fondo. Corpi, figure, che si muovono in una città, Roma, svuotata del suo senso millenaristico, panoramico, caciarone. Ecco, queste sono forse le direttrici principali di Come pecore in mezzo ai lupi - il senso, i sensi, il sentire.
Il senso è quell'inseguire da parte di Patitucci un modo di fare cinema che ha sempre riconosciuto come suo, fino da quando presenta alla Ascent (ora dentro Groenlandia Group) il teaser per un film tratto dalla trilogia letteraria di Mila Zago scritta da Matteo Strukul. Da lì conosce Matteo Rovere, che la vorrà con sé a dirigere le corse in macchina, i combattimenti con la spada e gli assalti ai treni dei titoli di cui sopra.
I sensi, invece, sono quelli di Isabella Ragonese e Andrea Arcangeli, Vera e Bruno, i due fratelli dall'altra parte della barricata ma con lo stesso dolore addosso. La Ragonese è tutta spigoli, Arcangeli quasi felpato, e se la prima ti respinge con i silenzi e i vuoti della sua vita, il secondo ti fa avvicinare con la sua voglia di cambiare e il suo progetto di fuga. Il sentire, infine. Sono pochi, i personaggi del film. Sono quelli che bastano. Altro non c'è, nessun appiglio nelle istituzioni comunitarie che dovrebbero in qualche modo salvarti - lo stato, la religione, la famiglia. Tutti hanno perso tutto, Vera, Bruno, la piccola Marta, perfino il terrifico Dragan. Non c'è casa per nessuno di loro.
Patitucci cerca uno sguardo per narrare tutto questo e lo trova. Non calcando la mano sul lato più action della vicenda ma tirando su, con pazienza e precisione, un film più d'atmosfera che di movimento, creando la tensione non con lo scontro ma con la minaccia. Scritto da Filippo Gravino, un altro che da anni si sbatte per il de-aging del cinema italiano, Come pecore in mezzo ai lupi carica, accumula e scarica tutto sui suoi personaggi, per farli deflagrare dall'interno in un climax finale che lascia sul campo caduti e superstiti.
Forse il payoff finale non è totalmente soddisfacente, e Patitucci arriva troppo con il freno a mano tirato mettendo in scena una conclusione che può sembrare un po' confusionaria e tirata via, ma va bene così, la cicatrice di Isabella Ragonese e la magrezza di Andrea Arcangeli ce le portiamo comunque con noi, come segno del loro essere i veri lupi che cercano non di sopravvivere ma di vivere in mezzo a tutte le altre pecore.
https://it.wikipedia.org/wiki/Come_pecore_in_mezzo_ai_lupi
Isabella Ragonese
Andrea Arcangeli
Carolina Michelangeli
https://it.wikipedia.org/wiki/Come_pecore_in_mezzo_ai_lupi
Isabella Ragonese
Andrea Arcangeli
Carolina Michelangeli
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