L'amore tra la francese Marina e l'americano Neil vola tra alti e bassi, dal fuoco della passione al gelo dell'incomprensione, dalla grigia Parigi alle luminose praterie dell'Oklahoma, cercando di sopravvivere, senza smarrire la sua direzione. Il cinema di Malick è, da sempre, "solitario" nei toni e radicale nella grammatica e, in quest'ultimo opus, i suoi stilemi arrivano, probabilmente, ai limiti estremi e definitivi. Rifacendosi ai tempi ed alle atmosfere del precedente, e più riuscito, The tree of life, di cui questo To the Wonder appare come una particolare digressione, il Maestro texano rinuncia quasi del tutto ai dialoghi (in favore della consueta voice over) ed alle regole della narrazione tradizionale, regalandoci un unico libero flusso di immagini meravigliose e procedendo per ellissi che spaziano tra l'estasi poetica ed il manierismo autoreferenziale. Intenzionato a raccontarci l'Amore, attraverso le sue naturali stagioni esistenziali, finisce per avvolgerci in una sinfonia corale, e non sempre intonata, tra l'incanto della Natura, che come sempre assiste splendidamente impassibile alle umane miserie, la ricerca della Fede ed il mistero della relazione di coppia, tanto possente quanto fugace. I personaggi, interpretati dal consueto cast sontuoso (Ben Affleck, Olga Kurylenko, Rachel McAdams, Javier Bardem), ondeggiano come pedine inermi nell'inflessibile corrente malickiana, incarnando quel conflitto che è alla base del suo cinema, questa volta declinato in termini uomo-donna e uomo-Dio. Lo sfalsamento tra significante e significato è, stavolta, più evidente in un film esteticamente pregevole ma meno ispirato del solito, che, muovendosi tra magia e disagio, sa di propaggine esasperata, e quindi ripetitiva, di cose già dette, e meglio, dal grande regista americano.
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