venerdì 31 ottobre 2014

Lei (Her, 2013) di Spike Jonze

Theodore è un uomo solo e sensibile, che cerca di riprendersi dalla separazione dalla moglie e che trascorre il suo tempo tra fugaci amicizie femminili ed un lavoro creativo quanto stravagante, che gli consente di esprimere il suo prepotente lato sentimentale, quasi sempre tenuto a freno: la scrittura via internet di lettere personali per conto di altre persone. Ma la sua routine sarà interrotta dal folgorante incontro con Samantha, un software intelligente che si adatta alla personalità dell'utente, che parla con la voce sensuale di Scarlett Johansson e che finirà per governare molto più del suo computer. Il rapporto uomo-tecnologia ha sempre interessato il cinema ed ha fornito enormi spunti ispiratori, dando vita a capolavori, già nel periodo delle origini, come Tempi moderni di Chaplin o Metropolis di Lang, passando per 2001: Odissea nello spazio di Kubrick, fino ad arrivare alle più moderne e spettacolari istanze dello sci-fi che, ormai, ne abusano. L'estroso Spike Jonze, da sempre interessato al contrasto tra realtà e finzione, ne realizza un nuovo epigono con questo ammaliante melodramma fantastico, dando vita al suo film migliore per compiutezza tematica e maturità espressiva. Stilisticamente raffinato, tra ambienti asettici quanto colorati e suggestivi e scorci urbani splendidamente fotograti, il regista ci conduce in un futuro prossimo di inquietante omologazione, dove la solitudine metropolitana contrasta con la totale immersione nell'universo hi-tech attraverso la più disparata gamma di orpelli tecnologici che consentono la costante presenza on-line e la continua connessione con il proprio altrove. Un altrove esistenziale e sentimentale, in questo caso idealizzato dal conturbante sistema operativo Samantha, con cui il protagonista inizierà una vera e propria relazione, particolare ed intensa, delicata e struggente, virtuale nella forma ma non nella sostanza. Ma stavolta, più che critica, c'è una bonaria complicità, da parte del regista, verso il mondo tecnologico, di cui Samantha rappresenta il modello archetipo, l'ultima frontiera, lo Zen supremo e, soprattutto, lo specchio fedele delle emozioni e dei desideri dell'uomo del nuovo millennio (o 2.0, per usare un linguaggio confacente alla tematica). Superando la classica dicotomia tra spirito e materia, propria delle storie di questo tipo, Jonze ricorre ad un'espediente affatto nuovo (la "macchina" che evolve verso comportamenti umani) per analizzare, metaforicamente, la parabola dell'amore attraverso le sue fasi tipiche: esaltazione, passione, complicità, adattamento, compromesso, commiato. Dal rapporto uomo-macchina entrambi i protagonisti attingeranno, cambiando, in una sorta di simbiosi empatica tra biologia ed elettronica, che guarda al misticismo spirituale new age, ma con composta delicatezza espressiva che si esalta nell'evocativa immagine finale, che è il trionfo dell'umano, smarrimento compreso. Ma il film ci parla anche della difficoltà dei rapporti di relazione tra entità intelligenti e senzienti, il cui limite evidente sta nella tendenza (umana) di ridurre gli stessi in funzione di ristrette esigenze individuali, piuttosto che ambire ad una visione universale, simboleggiata dal sentimento "collettivo" verso cui evolve Samantha, risolvendo l'ansia del presente e la paura del futuro in una nuova consapevolezza del sè, sovrumana e trascendente. Bravi tutti gli attori del cast, e, se la Johansson è la voce del film, l'eclettico Joaquin Phoenix ne è il volto, perennemente in scena e perennemente in primo piano, che riesce a trasmettere le sue emozioni tramite una vasta gamma di espressioni, ponendo spesso l'accento sui silenzi e sulla capacità di ascoltare, una nobile dote sempre più rara in un mondo veloce e indifferente. E' stato premiato con l'Oscar alla sceneggiatura originale, scritta dal regista stesso dopo le proficue collaborazioni con Charlie Kaufman.

Voto:
voto: 4/5

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