Un
misterioso hacker informatico utilizza un codice "maligno" per violare prima il
sistema di sicurezza di una centrale nucleare cinese, provocando lo scoppio di
uno dei reattori, e poi quello della borsa di Chicago, facendo schizzare alle
stelle gli indici di vendita per ricavarne un illecito guadagno
multimilionario. Viene messa in piedi una task force di esperti tra la Cina e gli Stati Uniti, ma
questi si rendono conto ben presto che l’elemento decisivo per districare la
matassa è il geniale ideatore di quel codice che, con le opportune modifiche, è
stato alla base dell’attacco informatico: un giovane hacker di nome Nick
Hathaway, condannato a 13 anni di prigione e recluso in un carcere federale
americano. Per cause di forza maggiore Hathaway verrà scarcerato e si unirà
alla squadra, iniziando una pericolosa caccia all’uomo in giro per il mondo,
seguendo il flusso delle informazioni digitali. Thriller metropolitano di
Michael Mann, adrenalinico, cupo, intenso, visivamente straordinario, che
mescola abilmente alcuni elementi tipici dell’action movie
d’oltreoceano, nelle formidabili scene d’azione, con le atmosfere ipnotiche ed
ammalianti che da sempre costituiscono il marchio di fabbrica del grande
regista di Chicago. Muovendosi sulla scia formalmente innovativa delle sue
ultime opere (Miami Vice in
particolare), l’autore prosegue il suo straordinario lavoro di sperimentazione
sulle immagini, catturate attraverso la camera digitale, la cui alta resa
espressiva e la brillantezza cromatica ci restituiscono un sontuoso
caleidoscopio visuale dal quale si esce ammirati e frastornati. Come già visto
nell’indimenticabile Los Angeles notturna di Collateral,
anche qui assistiamo allo spettacolo delle grandi metropoli (stavolta asiatiche),
fotografate, quasi sempre di notte, nell’esplosione abbacinante dei mille neon
artificiali, in un affresco imponente creato dalla tecnica digitale di Mann. E
se il plot è canonico, a tratti esile ed inverosimile, e l’attore protagonista
(il "dio del tuono" Chris Hemsworth) è indubbiamente poco adatto al ruolo, i
meriti tecnici sono così alti e le pennellate visive così preziose, da
riscattare il tutto in un film solido e teso, sicuramente uno dei migliori in
assoluto sul "cyber-crimine". Portandoci in giro per il mondo, attraverso
location mozzafiato ed inquadrature vertiginose, il film procede come un’ideale
mappa di ipertesti, mescolando reale e virtuale, passione e violenza, solitudine
e rapacità, futurismo e tradizione, in uno scenario iper tecnologico dal sapore
apocalittico. I personaggi di contorno svettano sui protagonisti e la caccia
serrata, sui cui tempi il film è edificato, ha il sapore acre di un’ultima
occasione che l’umanità non può permettersi il lusso di fallire. Mann si
conferma autore di levatura straordinaria, un maestro assoluto nel piegare i
contenuti al servizio dell’estetica, e ci consegna la sua opera più
catastrofica, erigendo con essa un’ideale "cattedrale" consacrata al "culto"
dell’immagine nella sua forma più pura, estrema e solenne. La critica americana
non l’ha apprezzato e l’ha generalmente bollato come flop, evidenziandone
solo i difetti ma ignorandone l’alta portata estetica e l’indubbio spessore
concettuale, che si esplica nell’intima cupezza, spigolosa, poco ammiccante, e di alta densità tagliente.
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