lunedì 22 gennaio 2018

La forma dell'acqua - The Shape of Water (The Shape of Water, 2017) di Guillermo del Toro

Baltimora, 1962, in piena "guerra fredda": Elisa, giovane donna muta, lavora come addetta alle pulizie in un laboratorio scientifico governativo ed è legata da profonda amicizia alla collega Zelda, afroamericana gentile e ciarliera, ed al suo vicino di casa Giles, vecchio pittore in disarmo discriminato per la sua omosessualità. La scoperta di una creatura acquatica, orripilante nell'aspetto ma intelligente e sensibile, che viene tenuta segregata nel laboratorio dove è oggetto di esperimenti e vessazioni fisiche, cambia per sempre la vita di Elisa, che riesce a stabilire una sincera connessione con il "mostro", di cui ben presto si innamora, ricambiata. Per salvare il suo amato dalle grinfie dello spietato aguzzino Strickland, saccente capo della sicurezza, crudele e razzista, la tenace donna organizza uno spericolato e pericoloso piano per far evadere l'essere dalla sua prigione. Straordinaria favola dark scritta e diretta da Guillermo del Toro (che realizza con essa il suo film migliore), capace di mescolare e dosare con sorprendente abilità e senso della misura generi e toni, spaziando agilmente dal fantastico all'horror, dal sentimentale all'avventuroso, senza dimenticare il thriller spionistico e la visionaria ricostruzione d'epoca. In miracoloso equilibrio tra il registro leggero e quello drammatico, seguendo sempre il filo sottile di un delicato romanticismo, il film si svolge a due livelli (fedele ad una struttura narrativa cara al regista): da un lato abbiamo la vicenda storica, con graffi di critica sociopolitica all'America della "guerra fredda" e alla sua mentalità intollerante e aggressiva, dall'altro c'è il racconto onirico fantastico che guarda dritto agli archetipi mitici della fiaba ("La bella e la bestia"), senza dimenticare la miriade di citazioni cinefile che un innamorato di cinema come del Toro si compiace di dispensare a iosa (dai vecchi musical hollywoodiani ai peplum in costume, fino a quella, evidentissima, del cult horror Il mostro della laguna nera (1954) da cui viene ripreso pari pari l'aspetto della creatura anfibia). Da questo magma pulsante di suggestioni, riferimenti e ispirazioni, l'autore riesce a trarre un'opera stupefacente capace di emozionare, appassionare, indignare e rapire lo spettatore, trasportandolo, tra passione e sentimento, nel magico mondo del cinema dei vecchi miti, quello che sapeva catturare lo sguardo ancora puro del pubblico di una volta, parlando dritto al cuore del fanciullo che era in ciascuno di noi. Ma, tra la magia e l'incanto di molte sequenze, e con uno stile registico incline ad un evocativo barocchismo, del Toro non rinuncia mai alla carnalità, al sesso, alla violenza, fedele alla sua idea di cinema "bifronte". Così il brutale cattivo interpretato abilmente da un granitico Michael Shannon, diventa il simbolo enfatico dell'americano medio, con tutto il suo carico di pregiudizi discriminatori, di feroce rapacità, di fanatismo settario e di tronfia arroganza. Di contro, in accordo alla dimensione manichea propria delle favole, tutta la sensibilità e la grazia risultano di esclusivo appannaggio dei "diversi" e dei reietti, in questa palpitante epopea aristocratica degli alienati: la muta Elisa, il mostro acquatico, il pittore gay, la sguattera di colore, il clandestino russo. E, come in ogni fiaba che si rispetti, il messaggio finale annesso è potente, etico e attualissimo, evitando con abilità i rischi della retorica e della melassa edificante. Un messaggio di tolleranza, di rispetto e di amore, oltre che una lucida requisitoria in difesa dei diritti civili di tutte le minoranze. Tra cronaca e mitologia, tra romanticismo e sogno, l'autore omaggia i suoi miti e i suoi "mostri" personali attraverso un'opera fortemente morale (ma non moralista), che si lega a filo doppio ad una miriade di simbolismi astratti che riflettono sempre il contrasto tra ideale e reale. Ecco quindi l'acqua (elemento nobile e primigenio da cui tutti proveniamo), le uova (che rappresentano l'anima), la musica, i gesti, gli sguardi; tutti simboli di quella dimensione spirituale che consente la connessione empatica tra "diversi" prima della fisicità. E sulle note classiche di Glenn Miller il regista ci accompagna, insieme al suo cast straordinario formato da Sally Hawkins, Doug Jones, Michael Shannon, Richard Jenkins, Octavia Spencer e Michael Stuhlbarg, verso la sognante purezza di un altrove liquido in cui si incontrano incubo e sogno, vita e morte, aria e acqua, odio e amore, luce e tenebra. Un altrove fantastico incontaminato la cui forma inevitabilmente ci sfugge, ma che ci pervade totalmente.

Voto:
voto: 4/5

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