domenica 21 gennaio 2018

Tre manifesti a Ebbing, Missouri (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri, 2017) di Martin McDonagh

Ebbing, Missouri: Mildred Hayes è una donna disillusa e combattiva, divorziata da un marito manesco, con un figlio a carico e il peso di una terribile tragedia familiare: la morte atroce della giovane figlia Angela, stuprata, uccisa e bruciata da un sadico ancora privo di identità. Un anno dopo il tragico evento, Mildred decide di spendere i pochi soldi che ha per affittare tre enormi cartelloni pubblicitari in disuso, collocati su una strada secondaria, su cui esporre il proprio dolore, la sua fame di giustizia e la sua astiosa critica verso l'imbelle polizia locale, incapace di condurre l'indagine in una direzione concreta. Tre frasi forti che suonano come un grido di disperazione e di rabbia di una "madre coraggio" che, nonostante tutto, non si arrende. Il suo gesto le metterà contro la polizia e gran parte della comunità, cambiando per sempre la sua vita, ma anche quella dello sceriffo Willoughby, uomo saggio e stimato, in lotta contro un brutto male, e dell'agente Dixon, ubriacone violento e razzista votato all'autodistruzione. Da Martin McDonagh, irlandese approdato oltre oceano, arriva, fulminante ed appropriato, questo solidissimo esempio di cinema fieramente indipendente (ormai è assodato che tutto il meglio del cinema americano proviene da quella fucina). Ottimamente scritto, diretto con sobrio rigore e recitato benissimo da un cast tutto in odore di nomination (Frances McDormand, Sam Rockwell, Woody Harrelson), questo splendido film "di pancia" può essere considerato come il più vivido manifesto della situazione attuale americana. In una efficace commistione tra commedia nera e dramma, attraverso dialoghi al vetriolo, battute tristemente memorabili e personaggi ruvidamente ambigui ma non privi di dolente umanità, l'autore muove una lucida critica antropologica e politica alla società statunitense, utilizzando il crudo disegno impietoso di quella profonda provincia del Midwest: sporca, ignorante, violenta e feroce, coacervo di fanatismo, intolleranza, rapacità, brutalità ideologica, sopraffazione dei deboli e di tutti i comportamenti viziosi che oggi sono facilmente leggibili, attraverso la cronaca, anche ad alto livello. In bilico tra irriverenza e amarezza, ironia e tragedia, ribellione e resa, questo piccolo grande film di contrasti ha la tensione morale, giustamente indignata, di un libello civile, la cui dimensione straniante, evidentemente provocata dai contrasti predetti, è un alto valore aggiunto. Forse l'unico passaggio un po' forzato, ma comunque narrativamente necessario per imprimere la svolta decisiva che conduce alla seconda parte del film, è quello centrale delle lettere scritte dall'umanissimo sceriffo di Woody Harrelson. Ma trattasi di quisquilie di fronte alla potenza di un'opera granitica e necessaria, che suona come monito agghiacciante e cartina tornasole della deriva morale, sociale e politica che l'America sta attraversando. Da citare anche la notevole fotografia e il commento musicale, accurato, avvolgente, ma mai invadente. Tra le sequenze da consegnare alla memoria: il tenero incontro con il cervo femmina, un misurato momento lirico di poetica tensione emotiva, ed il finale on the road che si erge a piccola metafora della vita, in cui le grandi decisioni si prendono (o non si prendono) strada facendo.

La frase: "Se dovessi cacciare tutti i poliziotti con tendenze razziste resterei con tre, che comunque odiano i froci"

Voto:
voto: 4,5/5

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