lunedì 29 gennaio 2018

Suburbicon (Suburbicon, 2017) di George Clooney

Stati Uniti, 1959: Suburbicon è una ridente cittadina residenziale che ambisce ad essere un'area urbana modello per ospitare la borghesia caucasica americana, tra prati verdi, abitazioni eleganti, sventolio di bandiere a stelle e strisce e famiglie dalla facciata impeccabile. Ma la vita apparentemente idilliaca del privilegiato distretto viene turbata da due eventi che causano un forte shock generale: l'arrivo di una famiglia afroamericana, che viene fin da subito osteggiata dalla popolazione xenofoba, e un terribile fatto di sangue che colpisce i Lodge, dopo l'irruzione notturna di due delinquenti nella loro proprietà che provoca la morte della padrona di casa, la signora Rose, già costretta sulla sedia a rotelle dopo un incidente stradale. Il signor Gardner Lodge cerca di ricominciare a vivere insieme a suo figlio, il piccolo Nicky, con l'aiuto dell'amorevole cognata Margaret, gemella della moglie defunta. Ma il fratello maggiore di Rose e uno zelante investigatore assicurativo nutrono alcuni sospetti sulla triste vicenda. Il divo George Clooney, ormai totalmente orientato verso un cinema di denuncia sociale e di dichiarato impegno politico, dirige con pungente agilità questo suo sesto lungometraggio da regista, portando in sala un vecchio script dei fratelli Coen, risalente agli anni '80, da lui stesso rimaneggiato insieme a Grant Heslov. Il risultato è un feroce dramma satirico, in bilico tra la commedia nera e il thriller, la cui misura di stampo classico è attraversata da lampi di tetro umorismo e da momenti di cupa violenza, conferendo al tutto un senso straniante e grottesco. Lo stile Coen, chiaramente percepibile nella dimensione paradossale, nei personaggi maldestri e nelle improvvise sequenze di efferata durezza, viene infarcito da una solida direttrice morale, tipica delle opere di Clooney autore, che intende indurre una graffiante riflessione critica sull'attuale deriva della società americana, più che mai percorsa da fremiti di intolleranza razzista e da un fazioso senso nazionalistico. L'immagine ipocrita e impeccabile che il microcosmo Suburbicon offre di sè, effige vanagloriosa del Sogno Americano, viene efficacemente rappresentata da una fotografia ultra patinata, la cui falsità artificiosa si scontra con il lato oscuro della comunità, fatto da miseria morale, avidità rapace, spietatezza brutale, cinico egoismo e discriminazione sociale. Funzionale il cast con Matt Damon, Julianne Moore (in un doppio ruolo), Oscar Isaac, Glenn Fleshler ed il piccolo Noah Jupe. Raffinate ed ammalianti le musiche di Alexandre Desplat. Al netto di qualche effettismo lezioso e di alcuni compiacimenti autoreferenziali, l'intento del regista è di impietosa limpidezza: fornire una caustica ed amarissima risposta artistica alla politica "dei muri" di Trump. Una risposta, semplicistica quanto efficace, secondo la quale i maggiori pericoli per l'America provengono principalmente dal suo cuore nero, più che da minacce esterne dalla pelle di diverso colore.

Voto:
voto: 3,5/5

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