Napoli, estate del 1984. Fabio Schisa, detto "Fabietto", è un adolescente introverso di famiglia borghese che vive al Vomero, il quartiere "bene" del capoluogo campano, con un padre distinto funzionario di banca, una madre vitale e giocosa, un fratello maggiore, una sorella perennemente chiusa in bagno ed una zia, Patrizia, procace e disinibita, con sospetti problemi mentali, che incarna tutti i suoi sogni erotici di ragazzo in crescita, spaventato dalla vita e dalle donne ma confortato da un ambiente familiare serenamente protettivo. Anche se non mancano problemi e dissidi, i genitori di "Fabietto" si amano teneramente, mentre la città è pervasa dall'euforia collettiva per il clamoroso acquisto di Diego Armando Maradona da parte del Napoli calcio, scatenando un entusiasmo popolare che oscilla tra la voglia di riscatto sociale e l'idolatria pagana. L'avvento del fuoriclasse argentino e una improvvisa tragedia familiare cambieranno per sempre la vita del ragazzo, indirizzandolo, dolorosamente ma ineluttabilmente, verso una carriera artistica. Il nono lungometraggio di Paolo Sorrentino, da lui scritto e diretto, è un dramma autobiografico intimo ed intenso in cui l'autore ritorna, fisicamente e spiritualmente, nella sua Napoli 20 anni dopo L'uomo in più, per tracciare, simultaneamente, un racconto di formazione, un diario sentimentale, un affresco emotivo ed un bilancio esistenziale che scava nei suoi ricordi dolci amari di adolescente per mettere in immagini la sintesi di un dolore universale, la magia di un periodo mitizzato e la nascita di un artista. Oscillando come da sua abitudine tra sacro e profano, poetico e grottesco, sublime e trash, Sorrentino si muove agilmente tra sequenze straordinarie (come il prologo visionario o la visita nella casa della baronessa) e inserti ampollosi, tra spontanea ispirazione e forzature folcloristiche, consegnandoci il suo film più sentito, più semplice e più appassionato, idealmente diviso in due parti distinte: la prima è una commedia nostalgica non priva di spunti comici e la seconda è una tragedia personale asciugata nei toni ma intrisa di rimpianto. Omaggiando ripetutamente i grandi Maestri del cinema italiano (Fellini, Rossellini, Leone), i suoi numi tutelari (Maradona) ed il suo primo mentore artistico (Antonio Capuano), l'autore racconta, ricorda, inventa, sogna e realizza il suo personale Amarcord attraverso l'alter ego "Fabietto", celebrando la possente magia evocativa della sua città natale (a cui alla fine finisci sempre per tornare) ed il potere salvifico dell'arte come unico vero antidoto contro il male di vivere. Nel cast, che al solito fedelissimo Toni Servillo vede affiancati Filippo Scotti,
Teresa Saponangelo, Luisa Ranieri, Renato Carpentieri, Enzo De Caro e Lino Musella, spiccano le due interpreti femminili capaci di incarnare con autentica pregnanza due aspetti diversi della napoletanità. Il film ha vinto due premi al Festival di Venezia, dove è stato presentato in anteprima: il Leone d'argento (Gran premio della giuria) ed il premio Marcello Mastroianni per il giovane attore esordiente Filippo Scotti. Con la speranza di trionfare nuovamente agli Oscar, È stata la mano di Dio ha ottenuto unanimi consensi di pubblico e critica, a conferma di una maggiore semplicità nello stile narrativo.
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