Lady Diana Spencer, una delle icone popolari del secolo scorso, generalmente amatissima ma in certi casi anche controversa, da sempre oggetto di attenzione morbosa da parte dei media che ne hanno saccheggiato l'intimità da viva e non hanno smesso di "interessarsi" a lei neanche dopo la tragica morte, continua a far parlare di sè e a rimanere impressa nell'immaginario collettivo anche grazie alla lunga serie di documentari, film televisivi e serie tv che le sono state dedicate. Dal punto di vista cinematografico l'ombra lunga di una Lady D. appena scomparsa faceva da ingombrante coprotagonista assente nel riuscito biopic The Queen - La regina (The Queen, 2006) di Stephen Frears. E nel 2013 il tedesco Oliver Hirschbiegel le ha dedicato una poco riuscita ricostruzione biografica con il banale Diana - La storia segreta di Lady D (Diana) con Naomi Watts protagonista. Ma molto della recente percezione popolare del personaggio è stato indubbiamente influenzato dal serial televisivo di grande successo The Crown in cui l'ex principessa del Galles è efficacemente interpretata da Emma Corrin, stabilendo un involontario (ma inevitabile) termine di paragone per i casi futuri, come questo dell'ottimo regista cileno Pablo Larraín che, dopo due affreschi biografici "atipici", Neruda (2016) e Jackie (2016), ed un capolavoro visionario come Ema (2019), ha deciso, affidandosi alla penna di Steven Knight come sceneggiatore, di realizzare questo ritratto intimo, romanzato ma evidentemente realistico e verosimile sulla figura mitizzata della "principessa triste". L'approccio stilistico e concettuale è in linea con quello dei suoi due precedenti biopic: l'autore immagina gli eventi, interiorizzandoli dalla prospettiva della protagonista, dei giorni delle festività natalizie del 1991 nell'austera residenza di Sandringham House, in cui Diana decise di interrompere il suo matrimonio "fasullo" con Carlo dando così il via a tutta la valanga di eventi, scandali e pettegolezzi che ne sarebbero conseguiti e che 6 anni dopo l'avrebbero fatalmente travolta. Ambientato in una 4 giorni fatale nella raggelante atmosfera inerte della brughiera inglese e diviso in 4 atti (Vigilia, Natale, Santo Stefano e Gita di caccia), Spencer è una anti-favola tragica, onirica, intimistica ed immersiva nel mondo interiore di una Diana che già ci appare in crisi profonda, depressa, bulimica, infelice, inquieta, schiacciata dal peso di un matrimonio di facciata e di una tradizione, di un conformismo e di un protocollo castrante che non tollera più, e che le provocano angoscia, isteria, atteggiamenti ribelli, manie capricciose, tendenze all'autolesionismo e persino pensieri suicidi. Lo stile è sontuoso, elegantissimo e glaciale, talvolta un po' accademico, da porre in contrasto con la tempesta interiore, faticosamente (mal) tenuta a freno, che impazza nell'animo della fragile protagonista, efficacemente interpretata dall'americana Kristen Stewart (intensa, tormentata e dolorosamente magnifica nel conflitto tra radiosa bellezza e cupezza interiore). La giovane attrice californiana (qui alla sua vera prova di maturità) ci offre una performance notevole e solo in parte mimetica, con un notevole lavoro linguistico sull'accentazione britannica ed una emotività trasmessa interamente attraverso lo sguardo. Vanno altresì menzionate: la ricostruzione scenografica imponente di pregnante suggestione, le musiche evocative di Jonny Greenwood, la fotografia di Claire Mathon e le eccellenti prove del cast in cui, oltre alla Stewart, spiccano i bravissimi Timothy Spall, Sean Harris e Sally Hawkins. Larraín garantisce il suo solito tocco "magico" e vellutato, attingendo a mani basse da tutta l'iconografia mitizzata del personaggio di Lady D. ma sublimandola attraverso una eterea stilizzazione e aggiungendovi persino degli inserti fantasmatici (invero un po' forzati) nelle connessioni con la figura tragica di Anna Bolena. Il film non manca di toni politici e ci consegna diverse sequenze straordinarie che resteranno nella memoria: la visita notturna nella casa di famiglia abbandonata, il dialogo con Carlo "a distanza" dai lati opposti del tavolo da biliardo, la principessa distesa di spalle sul pavimento del bagno in un vistoso abito da cerimonia. E non ultimi i numerose omaggi colti a Hitchcock (Rebecca), al cinema horror e noir d'autore (Kubrick, Siodmak, Polanski) che il talentuoso regista si diverte a inserire e che possono rappresentare un ulteriore motivo di interesse per i cinefili. Tra pulsioni trattenute e desideri inespressi Larraín ci presenta il lato amaro di quel mondo rigido, inamidato, ipocrita e bacchettone che è il cerimoniale dei reali, eletto a dogmatico formalismo esistenziale, attraverso gli occhi afflitti di una principessa che non voleva esserlo, lontanissima dall'immagine edulcorata delle fiabe, un'eroina spettrale prigioniera del suo ruolo, insofferente del sistema e dispersa nei ricordi malinconici della sua infanzia, vissuta proprio al confine di quel Sogno che poi si è rivelato essere un incubo.
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