martedì 18 novembre 2014

Giù la testa (Giù la testa, 1971) di Sergio Leone

Durante la rivoluzione messicana l'incontro tra Juan Miranda, peone ribaldo a capo di una famiglia di banditi, e John Mallory, dinamitardo irlandese dal misterioso passato, darà inizio ad un'improbabile collaborazione il cui scopo apparente è quello di svaligiare una banca. Ma le loro vite cambieranno per sempre. L'ultimo western di Sergio Leone è un superbo connubio tra romanzo picaresco, dramma storico, avventura epica, novella eroicomica, il tutto condito da un'ironia dissacrante che stinge nel tragico. Costruito su due personaggi antitetici e straordinari, con Steiger straripante e Coburn trattenuto, è ulteriormente arricchito da un'acre critica politica, assolutamente nuova per il regista romano, che, pur non rinunciando alla sua abituale contestualizzazione fantastico mitologica (il Messico rivoluzionario presente nel film è ampiamente romanzato e "dilatato" in accordo agli stilemi del cinema di Leone), finisce per tracciare un vibrante apologo anti imperialista. Invero va detto che il film va ancora oltre, forte di una caustica carica nichilista, rivolgendosi sia contro il potere reazionario che contro quello rivoluzionario, fedele all'abituale misantropia dell'autore. La celebre frase iniziale di Mao Tse-tung, voluta da Leone con valenza provocatoria, viene grottescamente smitizzata già dalla scena d'apertura di Miranda che urina sul formicaio, simboleggiando quello che il potere, qualunque potere, fa al popolo. E il concetto viene esemplificato a chiare lettere nel dialogo sulla rivoluzione, che scosse i critici di sinistra dell'epoca e rappresenta l'apice del "cinema politico" di Sergio Leone. Le imponenti scene di massa, i campi lunghi, gli orizzonti sterminati, i primissimi piani espressivi ed il senso epico raggiungono, in Giù la testa, nuove vette per il cinema di Leone, grazie anche alle solite memorabili composizioni del fido Ennio Morricone  (che sono la spina dorsale di tutti i suoi western, in una sinergia di irripetibile suggestione tra musica e immagini) ed agli incredibili effetti speciali curati dal geniale "artigiano" del nostro cinema di genere Antonio Margheriti (l'assalto finale al treno). Inizialmente la pellicola era nata con Sergio Leone sceneggiatore e produttore e Sam Peckinpah regista; ma poi l'improvvisa rinuncia del grande Maestro americano, che irritò non poco il suo collega italiano, costrinse Leone ad accettare anche la regia per non far naufragare il progetto. Ma Leone, a cui non mancava un macabro senso dell'umorismo, si "vendicò" alcuni anni dopo, quando produsse il western Il mio nome è Nessuno (diretto da Tonino Valerii) in cui sbeffeggia il "mucchio selvaggio" e fa comparire su una lapide di un cimitero il nome Sam Peckinpah. Tra storia, romanzo e mitologia questo ennesimo capolavoro di Leone rappresenta l'ultima grande fiammata dello "spaghetti western".

Voto:
voto: 4,5/5

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