martedì 4 ottobre 2016

Fuocoammare (Fuocoammare, 2016) di Gianfranco Rosi

A Lampedusa il piccolo Samuele va a scuola, cerca di imparare il duro mestiere del mare e si diletta a costruire fionde con cui tirare sassi per cacciare uccelli. Intanto l’isola vive la tragedia quotidiana dei migranti che sbarcano dal terzo mondo per sfuggire alla fame, alla guerra e ad una vita miserabile priva di speranza e dignità. In cerca di un futuro migliore per sé stessi e per i loro figli, questo esercito di disperati, ignobilmente sfruttato da un manipolo di criminali che si arricchiscono organizzando i disumani viaggi della morte su battelli di fortuna, vede nell’isola italiana la porta di quell’Europa in cui confida di trovare la terra promessa. Ma molti di loro trovano la morte in quel mar Mediterraneo ormai divenuto la tomba dei poveri derelitti, reietti costretti ai margini della civiltà da anni di politiche di sfruttamento e dal cinismo delle società occidentali schiave del consumismo e dell’avida logica del profitto. Lampedusa, estremo sud dell’Italia e dell’Europa, è ormai divenuta il simbolo del problema dei migranti, una questione umanitaria, politica, sociale e morale che costituisce la vera sfida da affrontare da parte dei governi europei. Una sfida che non può più essere rimandata o sottovalutata. In questo splendido documentario il regista Gianfranco Rosi, cittadino italiano e americano nato in Eritrea, affronta l’ardua questione con uno sguardo lucido, asettico e anemozionale, posto al servizio di un freddo cronachismo che cerca di cogliere il lato invisibile dell’immane tragedia al di là del pietismo retorico, dell'estremismo intollerante e del clamore mediatico. Con un approccio rigoroso e anticonvenzionale, l’autore bandisce enfasi e retorica, asciugando la narrazione fino all’osso e presentendoci, senza soluzione di continuità, scene di vita ordinarie della comunità lampedusana alternate alle immagini terribili (mostrate senza alcun compiacimento morboso) degli sbarchi dei profughi, dei salvataggi in mare e della disperazione assoluta di chi ha perso tutto. Potente ed onesto nel suo crudo realismo, ma anche pudico nell’esternazione delle scene tragiche attraverso un punto di vista discreto e pietoso, il film trova il suo climax emotivo nella drammatica testimonianza del dottor Pietro Bartólo, eroico medico lampedusano sempre in prima linea per prestare soccorso agli sventurati che arrivano dal mare. Da menzionare altresì la fine dimensione allegorica della vicenda di Samuele, che contiene un tenue messaggio di speranza e l’esortazione (rivolta a tutti noi) ad utilizzare il nostro occhio pigro (obnubilato dal benessere opulento e dall’egoismo ignavo), per riuscire a guardare il mondo sotto una nuova luce. Il film è stato premiato con l’Orso d’Oro al Festival del Cinema di Berlino ed è stato scelto, non senza polemiche, come rappresentante italiano agli Oscar 2017.

Voto:
voto: 4/5

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