martedì 18 ottobre 2016

Viva la libertà (Viva la libertà, 2013) di Roberto Andò

Enrico Olivieri, segretario del principale partito d’opposizione, colto da profonda crisi esistenziale, decide di lasciare tutto e fuggire in Francia da una sua vecchia amante. La sua improvvisa assenza, in un momento cruciale della storia politica del paese, provoca imbarazzo e caos nelle alte sfere del partito, che faticano a tenere a bada l’opinione pubblica inventando fantomatici motivi di salute per tener nascosto il fattaccio. Andrea Bottini, solerte braccio destro di Olivieri, pensa allora di rivolgersi a Giovanni, gemello del politico e docente di filosofia con seri problemi psichiatrici di bipolarismo, affinché prenda il posto del fratello nel periodo della sua assenza. Il bizzarro Giovanni, tra colpi di teatro e disarmante sincerità, riporta incredibilmente in auge il gradimento del partito d’opposizione. Vibrante dramma politico di Roberto Andò, tratto dal romanzo “Il trono vuoto”, scritto da lui stesso e diretto con tono lieve, alternando acuta ironia e lucidità di sguardo. Sulla scia di quel grande cinema politico che fu di Elio Petri, eternamente sospeso tra rigore di denuncia e visionarietà surreale, questo solido film dell’intellettuale Andò si rivela come uno tra i più interessanti prodotti cinematografici italiani degli ultimi anni, capace di coniugare densità tematica, forza critica, garbato favolismo e grottesco sarcasmo. Nonostante la storia semplice e l’assunto kafkiano (che cavalca temi classici ampiamente abusati come lo scambio di persona e la doppia identità), l’opera nasconde una complessità ben più stratificata, in bilico su quel filo sottile che separa il comico dal tragico. Una complessità che denunzia il fallimento di una classe dirigente ingessata nella sua mediocrità e che auspica il ritrovamento di un linguaggio (politico) semplice, viscerale, euforico, che sappia parlare al cuore della gente e possa rimettere ciascuno di fronte al proprio senso di responsabilità. Tra la saggia follia dell’improbabile segretario e l’ottusa razionalità dei mestieranti politici, il film ci regala una briosa boccata d’aria che soffia imperiosa tra le polveri delle stanze del potere e ci delizia con un potente finale ambiguo e con almeno una sequenza memorabile: il ballo a sorpresa tra Giovanni e la leader del governo tedesco, che strizza evidentemente l’occhio ad Angela Merkel. Nel cast svetta uno straordinario Toni Servillo, nel doppio ruolo di Enrico/Giovanni, che si conferma il miglior attore italiano contemporaneo e il più degno erede del compianto Gian Maria Volonté. Accanto a lui Valerio Mastandrea, Valeria Bruni Tedeschi, Michela Cescon e Anna Bonaiuto garantiscono interpretazioni di buona tenuta. Da segnalare l’apparizione, in un filmato d’epoca, di Federico Fellini che denuncia aspramente gli abomini della censura e degli spot pubblicitari che mortificano l’arte cinematografica durante i passaggi televisivi dei film.

Voto:
voto: 4/5

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