mercoledì 11 ottobre 2017

Blade Runner 2049 (Blade Runner 2049, 2017) di Denis Villeneuve

Nell'anno 2049 la Tyrell Corporation e i suoi replicanti ribelli sono stati rimpiazzati da una nuova potente società, guidata dal giovane genio Neander Wallace, che realizza ormai regolarmente androidi di ultima generazione, docili e senza problemi di longevità, da utilizzare con buon profitto nei lavori "sporchi" che gli umani non vogliono più svolgere. Ma esistono ancora diversi Nexus sopravvissuti agli anni oscuri e l'unita speciale di polizia "Blade Runner", che si occupa del loro "ritiro", è sempre attiva nella tentacolare area urbana di Los Angeles. L'efficientissimo agente K è l'elemento di spicco della squadra, ma tutto cambia quando, durante una missione portata a termine con successo, il nostro fa un'incredibile scoperta, riportando alla luce un segreto che potrebbe stravolgere per sempre il nuovo ordine sociale, fondato sulla convivenza tra umani e sintetici. Ben conscio del pericolo che sta correndo, K si avventura in un viaggio alla ricerca della verità e del suo passato, mettendosi sulle tracce di un suo predecessore, l'agente Deckard, sparito nel nulla da anni senza dare più notizie, che sembra possedere la chiave di accesso a quei misteri per i quali molti sono disposti ad uccidere. La posta in gioco appare subito alta e K dovrà fronteggiare sia Wallace sia la polizia stessa per riuscire a trovare Deckard per primo, sperando di ottenere le preziose informazioni di cui ha bisogno per portare a termine la missione più importante della sua vita. Dopo 35 anni e una lunga serie di rinvii, il tanto atteso sequel di Blade Runner è divenuto realtà, con Ridley Scott in veste di produttore esecutivo, il lanciatissimo Denis Villeneuve in cabina di regia e il ritorno dello sceneggiatore Hampton Fancher e di Harrison Ford nel ruolo di Deckard. Con un approccio che cerca coraggiosamente di conciliare le regole dei blockbuster hollywoodiani e la qualità spesso ermetica del cinema d'autore, il regista, che fin dalla prima sequenza dimostra tutto il suo smisurato amore per la pellicola del 1982, realizza un film lungo e ambizioso di fantascienza "colta", in cui l'azione è poco presente a vantaggio di dialoghi, analisi psicologica e momenti contemplativi. Dal punto di vista visivo ci troviamo di fronte ad un'opera imponente e abbacinante, che parte dalla memorabile iconografia estetica del film di Ridley Scott (che ha profondamente influenzato l'immaginario collettivo e tutta la fantascienza degli anni '90), ampliandola con grande potenza visionaria attraverso l'introduzione di nuove ambientazioni e l'utilizzo di una tavolozza cromatica più estesa e suggestiva, che spazia dalla cupezza piovosa degli ambienti losangelini (totalmente fedeli a quelli originali) al plumbeo spettrale degli scenari extra urbani (l'allevamento di vermi, la mega discarica), fino al giallo ocra ultra saturato della Las Vegas post apocalittica. Le atmosfere noir, l'ambiguità dei personaggi, il tormento interiore, la lotta disperata per il raggiungimento di un obiettivo (una vita più lunga nel primo film, la ricerca della propria identità in questo), la felice fusione anacronistica tra elementi avveniristici iper-tecnologici e oggetti vintage, l'importanza fondamentale del passato per definire il presente (e quindi il futuro), la contrapposizione filosofica tra umano e artificiale, l'occhio come simbolo pregnante del mondo introspettivo (specchio dell'anima, rivelatore esistenziale, porta della memoria). Queste sono tutte caratteristiche fondamentali dell'opera originale che qui vengono pedissequamente riprese, ricalcate e poi gradualmente amplificate nel tentativo di trovare una direzione originale. Ma è proprio in questo tentativo che il film di Villeneuve dimostra i suoi lati deboli a cominciare da una storia esile, da alcune svolte narrative facilmente prevedibili, da dialoghi a volte banali, da personaggi non particolarmente riusciti (in generale il cast femminile appare ben più in forma di quello maschile) e da una sensazione di titubanza che fa sembrare certe scene eccessivamente stiracchiate. Fatto salvo il cuore della storia (che è una sorta di viaggio interiore alla ricerca di sè), la sontuosa impaginazione formale e alcune sequenze memorabili (lo scontro tra K e Deckard tra gli ologrammi dei divi del passato è pura magia visiva), la percezione finale è quella di un prodotto indubbiamente sopra la media, ma in cui la cornice vale ben più del quadro. Nella grande squadra di attori citiamo Ryan Gosling, Harrison Ford, Ana de Armas, Sylvia Hoeks, Jared Leto, Robin Wright, Dave Bautista, Mackenzie Davis e Carla Juri, con i divi Gosling e Ford che appaiono in evidente sordina. Le musiche di Hans Zimmer e Jóhann Jóhannsson risultano troppo cupamente invasive e riescono a regalare brividi solo quando riecheggiano gli straordinari temi di Vangelis. Tra efficaci e ripetuti omaggi cinefili al film del 1982 si procede verso il finale non proprio imprevedibile, a cui probabilmente avrebbe giovato una maggiore ambiguità, e ci si trova a riflettere sul concetto di identità, sulla legittimità della replica rispetto all'originale, sulla necessità di una società quanto più possibile eterogenea, sulla convivenza (che diventa sovrapposizione in una sequenza amorosa di culto) tra diversi gradi di esistenza e sulla difficoltà di definire cosa sia umano e cosa sia reale in un universo popolato da fantasmi del passato, sogni elettronici e intelligenze artificiali. Ma, come perfettamente reso nella scena in cui compare il cane di Deckard, sono le emozioni e i sentimenti a definire il confine tra umano e sintetico. Perchè se due esseri condividono un bagaglio emotivo e sono in sintonia interiore, è davvero così importante stabilire la loro natura seconda una catalogazione meramente scientifica ? Non resistendo alle tentazioni tipiche del cinema mainstream in merito a spiegazioni e messaggi, l'autore consacra alla sfera sentimentale l'ultima riflessione filosofico esistenziale di Blade Runner. Perchè i moti segreti dell'animo sono tutto ciò che possediamo e tutto ciò che ci rende quello che siamo, e, per questo, vanno gelosamente custoditi e tramandati come eredità emozionale, che, attraverso un ricordo, riesce a definire una vita. E di fronte al nemico comune (il tempo) che sconfigge ogni forma di esistenza, il patrimonio dei sentimenti e dei ricordi è la sola causa per cui vale la pena lottare e, magari, morire. Affinché questi non si disperdano del tutto e per sempre, "come lacrime nella pioggia".

Voto:
voto: 3,5/5

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