martedì 3 ottobre 2017

Personal Shopper (Personal Shopper, 2016) di Olivier Assayas

Maureen è una giovane americana che vive a Parigi dove lavora come "personal shopper" (addetta alla scelta e all'acquisto di costosi capi e accessori di alta moda) per la sofisticata Kyra, ricca celebrità dal carattere difficile, sempre impegnata tra eventi mondani e cause ambientaliste. Maureen è anche una ragazza inquieta e tormentata, dalla personalità sfuggente e dotata di poteri medianici che le consentono di comunicare con le anime dei trapassati. Ed è proprio per questo che ha deciso di restare in Francia, alla disperata ricerca di un segno tangibile da parte del fratello gemello Lewis, improvvisamente scomparso a causa di una malformazione cardiaca di cui anche lei è affetta. Una lunga serie di messaggi ricevuti sul cellulare da parte di uno sconosciuto, che sembra sapere tutto di lei e dei suoi spostamenti di lavoro, la scuoteranno nel profondo, facendole sperare che il misterioso interlocutore possa essere lo spirito dell'amato fratello morto. Affascinante e tortuosa opera di Olivier Assayas, formalmente sperimentale, concettualmente liquida, narrativamente ambigua e visivamente straniante. Sotto la patina fredda ed elegante di un film di genere si cela una complessa ed ellittica metafora sulla ricerca dell'identità attraverso un sofisticato meccanismo astratto di simbolismi, suggestioni e apparizioni che sembrano riflettersi nella solitudine stessa della protagonista, come in uno specchio inconscio. Personal Shopper è un film concettuale, ambizioso e spiazzante che attraversa quasi impunemente diversi generi (la ghost story, il dramma esistenziale, il giallo, il thriller psicologico), toccando in maniera sottilmente cerebrale una vasta gamma di tematiche e sottotesti quali il disagio interiore, l'elaborazione di un lutto, l'esistenza dell'aldilà, la misera vanità di una società dedita al culto dell'apparire, l'ingerenza dei mezzi tecnologici nella nostra vita. E' anche un film fatto di contrasti stridenti: presenza e assenza, paura e desiderio, corpo e anima, ragione e istinti, vestizione e svestizione, realtà e sogno, vita quotidiana e la sua smaterializzata percezione. Strizzando spesso l'occhio a grandi maestri del cinema psicologico come Bergman, Polanski, De Palma e persino Hitchcock, l'autore realizza un rarefatto caleidoscopio di immagini glaciali e feticiste, intese a perseguire il difficile processo di "identificazione di una donna" (Maureen) per mezzo di un diabolico gioco di incastri psicoanalitici che trovano la loro "chiosa" nel finale tanto enigmatico quanto intrigante. Non c'è dubbio che si tratti di un film non facile e suscettibile di svariate interpretazioni, un'opera da "Cahiers du Cinéma" destinata a far discutere e a dividere, come accaduto al 69° Festival di Cannes dove è stato accolto da bordate di fischi alla sua presentazione, salvo poi vincere l'ambito Prix de la mise en scène alla migliore regia. Da sottolineare l'intensa performance recitativa di Kristen Stewart (probabilmente la migliore della sua carriera) nel ruolo della protagonista. E una delle possibili (e numerose) chiavi di lettura dell'opera potrebbe proprio essere quella di un ardito omaggio alla Stewart, nuova musa del regista francese, ammiccando, attraverso la progressione di ricerca interiore di Maureen, all'evoluzione del suo percorso artistico, passato inaspettatamente da banalità commerciali come la saga per teenager di Twilight a film d'autore di concezione "hipster".

La frase: "Lewis, sei tu ?"

Voto:
voto: 4/5

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