Biografia "indie" della pattinatrice su ghiaccio Tonya Harding, una delle più celebri e controverse sportive americane degli anni '90. Cresciuta troppo in fretta in un ambiente provinciale da una famiglia sciagurata e indigente, Tonya è una ragazza rude e spigolosa, sguaiata ed accanita fumatrice , succube di una madre aguzzina che fin dalla prima infanzia la spinge verso il pattinaggio per cercare di sfruttare al massimo il suo unico apparente talento. Nonostante le difficoltà nelle relazioni sociali, gli atteggiamenti discutibili che la rendono antipatica ai giudici ed uno stile poco elegante, la nostra si rivela fin da subito una grande pattinatrice: la prima americana capace di eseguire il difficile salto detto "triplo axel" in una gara ufficiale e, a tutt'oggi, una delle poche atlete al mondo ad esserci riuscita più volte. Nel 1994 la Harding fu al centro di un clamoroso scandalo che la travolse, la rese un caso mediatico nazionale e ne causò la fine prematura della carriera sportiva: l'aggressione compiuta ai danni della temibile rivale Nancy Kerrigan, architettata insieme al marito Jeff Gillooly, che costò alla malcapitata la rottura del ginocchio ed il ritiro dagli imminenti campionati nazionali di pattinaggio. Biopic semiserio e politicamente scorretto sulla vita di Tonya Harding, diretto con corrosiva ironia nera dall'australiano Craig Gillespie. Nella sua spericolata altalena tra farsa e cronaca, questa spudorata black comedy drammatica chiarisce le sue intenzioni fin dal grottesco prologo fatto di interviste ai personaggi principali, in cui appare l'avvertenza che il film è "tratto da colloqui veri, contraddittori e privi di sarcasmo" con la Harding e Gillooly. L'autore intende fare della sua spinosa anti-eroina un chiaro simbolo dell'America famelica e bellicosa nel perseguimento ossessivo del mito del successo personale ad ogni costo. In tal senso la paradossale vicenda esistenziale di Tonya diventa una tragicomica parabola dei malcostumi e delle contraddizioni di un paese alla continua ricerca di "eroi" usa e getta, da amare o da odiare a seconda delle circostanze, per poi immolarli pubblicamente nel triste circo dello show mediatico che si nutre delle sue stesse vittime senza mai placare la propria bramosia. La Harding del film è una perdente nevrotica, sboccata e aggressiva, figlia infelice di quel sottoproletariato bianco della profonda provincia statunitense disposto a tutto per primeggiare, inseguendo il sogno del benessere materiale come facile segno di affrancamento. Presa a calci dalla vita e indurita da un ambiente familiare anaffettivo (dalla madre cinica e perfida al marito imbelle e violento), Tonya è la perfetta incarnazione della "loser" indomita e disperata, che graffia e morde nel tentativo di elevarsi dalla sua congenita mediocrità, sfruttando il suo unico talento come un mezzo, piuttosto che come una passione. Nel cast spiccano le due protagonisti femminili: una Margot Robbie energica e imbruttita e, soprattutto, una straordinaria Allison Janney nell'ingrato ruolo della viscida madre LaVona. Entrambe le interpreti sono state meritatamente candidate agli Oscar 2018, rispettivamente come miglior attrice protagonista e miglior attrice non protagonista. I personaggi maschili, che sembrano usciti da una pellicola dei fratelli Coen per la loro maldestra inettitudine, orbitano mestamente intorno alle due "prime donne", che dominano la scena ad ogni apparizione. I continui ammiccamenti al pubblico, che intendono stabilire un'evidente complicità tra lo spettatore e la scomoda protagonista, costituiscono, al tempo stesso, il limite e la forza di questa apologia dei reietti, che smussa i contenuti aspri con leggerezza cialtrona, all'insegna di un'irriverente ruffianeria di fondo.
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