Dal romanzo "Gli assassini della Terra Rossa: Affari, petrolio, omicidi e la nascita dell'FBI. Una storia di frontiera" ("Killers of the Flower Moon: The Osage Murders and the Birth of the FBI") scritto nel 2017 dal giornalista e saggista David Grann ed ispirato ad una tragica vicenda storica realmente accaduta. Nell'Oklahoma del 1920 il popolo pellerossa degli Osage vive confinato all'interno della riserva che gli è stata concessa dal governo dopo la fine delle guerre indiane. La scoperta di un enorme giacimento di petrolio collocato proprio nelle loro terre li rende improvvisamente ricchi oltre ogni aspettativa, ma attira anche le brame di truffatori, avventurieri, criminali ed affaristi bianchi senza scrupoli. Intanto il giovane Ernest Burkhart, giovanotto non particolarmente sveglio, reduce della Prima Guerra Mondiale e con un debole per le donne, su consiglio del suo potente zio, il latifondista William K. Hale che coesiste e collabora da anni con gli Osage, seduce e sposa la bella Molly, una ragazza indiana erede di un vasto patrimonio derivante dal petrolio. Ma quando una serie di morti misteriose iniziano a falcidiare la tribù degli Osage e la cittadina viene pervasa da un clima di paura e brutalità, il governo centrale invia sul posto per indagare un gagliardo poliziotto, Tom White, appartenente al primo nucleo investigativo federale da cui poi nascerà la famosa agenzia FBI. Lo zelante White e il suo gruppo di agenti non ci metteranno molto a scoperchiare un torbido gioco di soprusi, connivenze, corruzione, inganni, tradimenti e piani criminali a danno dei pellerossa, con lo scopo di impossessarsi delle loro ricchezze. Il 26° lungometraggio di Martin Scorsese (che ne ha anche scritto la sceneggiatura insieme ad Eric Roth) è un cupo e potente dramma storico (ispirato ad eventi reali), lungo e minuzioso, che mescola sapientemente generi e modelli diversi (il western, il crime, il melodramma, la tragedia familiare, l'affresco d'epoca, l'opera di denuncia, il film di impegno civile) per tracciare un acido apologo critico che svuota di ogni eroismo la leggendaria "conquista del West" da parte dei pionieri bianchi, rievocando uno dei maggiori peccati originali della breve storia americana (lo sterminio, le oppressioni e le discriminazioni nei confronti dei nativi) fino a dar forma concreta ad una nuova simbolica "nascita di nazione", filtrata attraverso la sensibilità di grande cineasta libero, critico e disincantato, tipica dell'autore. La prima volta era accaduto con il kolossal Gangs of New York (2002), in cui il regista italo-americano ci immergeva nel fango e nel sangue dei degradati "Five Points" della New York ottocentesca per dirci che, in fondo, "l'America è nata nelle strade" ovvero che molto della cultura e dell'ideologia dominante degli USA affonda le sue radici nella violenza, nel razzismo, nell'ingiustizia e nella sopraffazione fisica dei più deboli. Sotto questo aspetto Killers of the Flower Moon si mantiene sulla medesima rotta iconoclasta, analizzando impietosamente le origini ancestrali del capitalismo americano, parimenti edificate sull'avidità, sull'arroganza, sulla rapacità, sulla presunzione che un popolo sia superiore ad altri, sulla barbarie e, ovviamente, sull'omicidio. Scorsese adotta volutamente uno stile intimistico, psicologico e anti-epico (soltanto nella sfavillante parte iniziale abbiamo delle brevi grandiose sequenze in campo lungo), favorendo i dialoghi, le atmosfere e la ristrettezza di ambienti per restituirci il clima dell'epoca, la sua profonda ingiustizia sociale, la totale mancanza di moralità da parte del potere e la sua assoluta certezza di impunità. Mai come in questo caso ci troviamo di fronte ad un film politico (probabilmente il più politico della filmografia scorsesiana), lucido nell'esposizione dei fatti e fieramente indignato nelle conclusioni. Va anche detto che molti degli stilemi tipici di Scorsese sono presenti in abbondanza anche in questo suo ultimo lavoro: la raffigurazione cruda e secca della violenza, la banalità del male raccontata da una prospettiva interna, la fede religiosa accompagnata dalla crudeltà delle azioni, la struttura narrativa declinata secondo l'andamento ascesa-caduta. E il finale, indubbiamente originale nella forma più che nella sostanza, ci regala un suggestivo momento di trasfigurazione creativa della realtà attraverso il cinema, con l'autore che si concede anche un piccolo ma significativo cameo. Nel cast stellare, che annovera nomi come Leonardo DiCaprio, Robert De Niro, Lily Gladstone, Jesse Plemons, John Lithgow e Brendan Fraser, svettano i tre protagonisti principali: DiCaprio (giunto alla sesta collaborazione con Scorsese) è indubbiamente ispirato e credibile nel dar vita ad un personaggio complesso, viscido, ambiguo, carico di fragilità, di lati oscuri e di contraddizioni. Peccato che, per tutta la parte finale, l'attore decida di assumere costantemente una monolitica espressione che sembra quasi scimmiottare il Marlon Brando dell'età matura. De Niro (diretto da Scorsese per la decima volta) riesce a farci dimenticare le tante patetiche apparizioni "mercenarie" dell'ultima fase della sua carriera, mostrandoci come sia ancora in grado di essere sé stesso, se diretto da un grande Maestro del cinema. Ma la vera piacevole sorpresa è la sconosciuta Lily Gladstone, di etnia pellerossa, che si rivela interprete di grande talento, intensità e sensibilità; il suo personaggio è l'anima, il cuore e il baricentro emotivo del film, intorno a cui ruota tutto il male e la cupidigia dei colonizzatori bianchi. Killers of the Flower Moon è un'opera di magistrale realizzazione e di sontuosa confezione estetica, trasuda amore per il cinema classico e nostalgia per quel modo di fare cinema che oggi è diventato una rarità; Scorsese si diverte e si compiace nel narrare una storia per immagini alla sua maniera, con un occhio rivolto alla "sua" cara New Hollywood ed un altro al presente, prendendosi tutto il tempo necessario (forse anche troppo), quasi a voler prolungare il piacere del racconto. E sotto questo aspetto, nonostante l'anagrafe per lui dica 80 anni suonati, l'energia, l'estro creativo e lo spirito polemico sono ancora quelli di un eterno ragazzo prodigio.
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