domenica 10 settembre 2017

In the Cut (In the Cut, 2003) di Jane Campion

A New York la professoressa di letteratura Frannie Avery, donna matura e sessualmente inibita, viene coinvolta nelle indagini di un efferato omicidio di una ragazza di facili costumi, il cui cadavere è stato trovato tagliato a pezzi in un giardino attiguo alla sua abitazione, e fa la conoscenza del detective Malloy che si occupa del caso. In breve tra i due scatta una selvaggia passione che li conduce in un torbido rapporto erotico sempre più estremo e trasgressivo, grazie al quale Frannie riesce a liberarsi dei suoi tabù e a trovare la piena soddisfazione sessuale. Ma intanto gli omicidi proseguono e anche la sorellastra di Frannie, Pauline, cade vittima di quello che ormai appare un sadico serial killer di donne. Grazie ad alcuni indizi Frannie si convince che l'assassino è il suo amante Malloy ma non riesce a interrompere la relazione con lui, in un gioco che è ormai diventato sempre più eccitante proprio a causa della sua minacciosa sensazione di pericolo. Il settimo lungometraggio di Jane Campion è forse il suo film più malsano e controverso, che ha spiazzato pubblico e critica per i suoi contenuti sordidi e per la scelta coraggiosa di proporre l'ex "fidanzatina d'America" Meg Ryan, volto pulito e tranquillizzante delle commedie sentimentali, in un ruolo così estremo e "scandaloso". Passato in sordina nelle sale e rivelatosi un flop commerciale al botteghino, questa straniante incursione della regista neozelandese in un genere fortemente codificato come il thriller poliziesco (che costituisce anche la sua prima pellicola metropolitana di ambientazione statunitense) è tratta dall'omonimo best seller di Susanna Moore, autrice della sceneggiatura insieme alla Campion. Nonostante la generale e immeritata incomprensione nei confronti dell'opera va detto subito che questo bistrattato In the Cut è ben degno dell'eccellente filmografia dell'autrice che, dimostrandosi fin dall'inizio poco interessata ai meccanismi del thriller, sceglia di puntare tutto sulle atmosfere morbose, sulle suggestioni carnali, tratteggiando con il suo sguardo lucido e originale una New York livida e spettrale che vale, già da sola, il prezzo del biglietto. Le dinamiche criminali e le pulsioni erotiche si sovrappongono in voluttuoso percorso di messa a nudo interiore che intende guardare impietosamente "in the cut", ovvero dentro i tagli, dentro le ferite aperte di un'America lasciva e degradata, ma anche dentro la fessura per eccellenza, l'apertura vaginale, simbolo fisico dell'intimità femminile e porta di accesso metaforica alla complessa psicologia del così detto "sesso debole". L'operazione risulta ardita, forse pretenziosa, ma è condotta con un'analisi rigorosamente inquietante e con una potenza astratta stilisticamente superiore, a conferma del talento scomodo e tortuoso dell'autrice. Tra Eros e Thanatos, umori corporeo e sangue, violenza e perversioni, il film è sostanzialmente un viaggio psicoanalitico, sospeso tra voyeurismo e introspezione, all'interno della sessualità femminile in un processo tanto disturbante quanto liberatorio. La controparte maschile, spesso illustrata all'insegna di una becera misoginia, è probabilmente una perfida punta astiosa che la Campion rivolge alla società a stelle e a strisce. Meg Ryan appare invece come il punto debole più evidente della pellicola, dimostrandosi totalmente inadatta e ben poco credibile in un ruolo del genere. Buono invece il resto del cast che annovera attori di sicuro affidamento come Mark Ruffalo, Kevin Bacon e Jennifer Jason Leigh. Tra feticismo e seduzione, erotismo e omicidio, ragione e istinto, la Campion realizza un altro affascinante tassello sulla psiche femminile, in cui la ricerca compulsiva del piacere sessuale degrada nelle tenebre dei recessi più oscuri dell'animo umano.

Voto:
voto: 4/5

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