domenica 10 settembre 2017

Paradiso amaro (The Descendants, 2011) di Alexander Payne

Matt King, marito indifferente e padre poco presente di due figlie femmine, è un avvocato di successo, discendente di una ricca famiglia hawaiana, sempre impegnato nella gestione dei profitti economici derivanti dalle loro numerose proprietà terriere. Quando un tragico incidente nautico riduce la moglie in come irreversibile, l'uomo scopre che la donna ha condotto per anni una doppia vita, tenendogli nascosta una relazione con un venditore di mobili di nome Brian. Sconvolto dalla notizia, Matt parte per un viaggio insieme alle sue figlie (la ribelle adolescente Alexandra e la dolce piccola Scottie) verso l'isola di Kauai, per incontrare il suo rivale in amore. Al ritorno sarà un uomo diverso, ristabilendo l'ordine delle sue priorità di vita. Questo nuovo ritratto, sospeso tra dramma e commedia, di un'America diversa e lontana da quell'immagine glamour con cui spesso viene identificata nell'immaginario collettivo, è l'ennesimo racconto di formazione esistenziale espresso attraverso la simbologia del viaggio, inteso sia come percorso interiore sia come itinerario catartico, che suggella la propensione del regista del Nebraska per un cinema indipendente fatto di storie ai margini, di sentimenti sussurrati, di personaggi vulnerabili, di famiglie disfunzionali e di pulsioni trattenute. L'indubbia abilità "neorealistica" di Alexander Payne di mettere in scena un ordinario umano in cui molti riescono a identificarsi, attraverso commedie agrodolci in perenne movimento (il viaggio è indubbiamente la cifra stilistica pregnante della sua idea narrativa), cerca probabilmente il suo definitivo suggello in quest'opera malinconica e ovattata, modulata sull'impaccio del protagonista nell'espressione dei propri sentimenti. Un'opera costruita chiaramente sui contrasti: quello tra la bellezza mozzafiato dei paesaggi esotici e la tragedia familiare che si abbatte sui personaggi, quello tra l'invidiabile condizione di benessere economico di Matt King e la sua incapacità di vivere pienamente gli affetti, ma anche quello tra la rapace invadenza del capitalismo americano e la preservazione di un antico equilibrio naturale tanto bello quanto fragile, che andrebbe difeso ad ogni costo piuttosto che sfruttato. Ed è proprio a quest'ultimo punto che allude il titolo originale, maldestramente banalizzato dalla solita grossolana traduzione italiana. Sempre vicino emotivamente ai suoi personaggi senza mai giudicarli, l'autore paga forse un eccesso di ambizione nelle troppe tematiche messe in campo (oltre a quelle già citate non vanno dimenticate la morte, la malattia, l'elaborazione del lutto, le questioni morali inerenti ai malati in coma irreversibile) e una tendenza esagerata nell'utilizzo di un grottesco addomesticato per mantenere bilanciati il tono tragico e quello ironico. Nel cast, tra un George Clooney sommesso e un Matthew Lillard allampanato, spiccano principalmente Judy Greer e la sorprendente Shailene Woodley nei panni della figlia "terribile" che dice sempre ciò che pensa senza girarci intorno. La pellicola ha avuto cinque candidature agli Oscar, portando a casa una sola statuetta per la sceneggiatura scritta da Alexander Payne, Nat Faxon e Jim Rash.

Voto:
voto: 3,5/5

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