giovedì 28 settembre 2017

Senza nessuna pietà (Senza nessuna pietà, 2014) di Michele Alhaique

Mimmo è un manovale romano, ombroso e taciturno, che lavora al servizio dello zio Santili, losco costruttore che lo ha cresciuto come un figlio asservendolo agli sporchi affari di una famiglia senza scrupoli, che non esita a ricorrere a metodi criminali per riscuotere i crediti dai debitori insolventi. E proprio come la famiglia di cui fa parte Mimmo ha una doppia vita: alla luce del sole è un abile capo mastro sempre operoso sui cantieri edili, ma la sua principale attività è quella di spietato esattore, che non disdegna le azioni più brutali per convincere a pagare gli sventurati morosi che hanno improvvidamente chiesto prestiti allo zio strozzino. Spossato dalla solitudine e sempre più insofferente rispetto alla ferocia del suo mondo, Mimmo è tanto succube del boss che gli ha fatto da padre quanto segretamente astioso verso il privilegiato cugino Manuel, figlio di Santili nonché viscido playboy arrogante e viziato. L'incontro con Tania, giovane escort sbandata da consegnare "in pasto" al cugino per un festino erotico, cambierà per sempre la sua vita. L'esordio registico dell'attore Michele Alhaique è un cupo noir ambientato nel degrado delle periferie romane, coacervo di reietti, disperati, bulli, emarginati, frutti bacati di un'umanità sopraffatta dal vizio e dalla corruzione. Quelle stesse periferie un tempo mirabilmente ritratte dal grande regista poeta Pier Paolo Pasolini (che qui viene ripetutamente omaggiato sia per la scelta delle location sia per la presenza del suo sodale Ninetto Davoli, che interpreta con convincente carisma il turpe sciacallo Santili), ci vengono adesso raffigurate con l'enfasi tipica dell'estetica moderna che caratterizza i crime movies nostrani, con particolare riferimento alle serie televisive di grande successo che hanno avuto in Stefano Sollima il loro demiurgo a tutto tondo. Ma l'autore cerca di andare oltre gli stereotipi di un genere fortemente collaudato fino ai limiti dell'abuso, con l'inserimento di una storia d'amore intima e delicata, fatta di sguardi, di gesti, di silenzi e di sogni troppo a lungo repressi. Il rapporto tra il massiccio Mimmo di Pierfrancesco Favino, rude omaccione di borgata che nasconde un cuore gentile sotto una scorza indurita dalla violenza del suo ambiente, e la maliziosa Tania di Greta Scarano, sensuale e disillusa "lolita" dell'Agro Pontino, costituisce il cuore pulsante del film e, pur nella sua scarsa verosimiglianza, ci regala le sequenze più intense (come il bagno in mare o il massaggio/lavacro nella vasca), prima di consegnarsi all'ineluttabile finale. I due attori romani confermano in pieno il loro talento e la loro dimestichezza nel ruolo di personaggi alienati, riuscendo a trasformare, grazie alla loro espressiva fisicità, un incontro di anime perse in un angolo appartato di struggente tenerezza che cerca di resistere alla barbarie di un mondo famelico che bussa alle porte. Peccato che il notevole lavoro degli attori (tra cui citiamo anche un vivace Claudio Gioè) non venga adeguatamente sostenuto da una regia troppo ancorata alla costruzione della tensione emotiva e da una narrazione che procede a zonzo tra il melodramma e il film "di genere", alla continua ricerca di un congruo equilibrio. Il regista merita comunque l'incoraggiamento per l'audacia di un approccio non convenzionale verso una materia "sacra" come il noir e per la buona perizia tecnica (fotografia, montaggio, musiche) con cui l'opera è confezionata.

Voto:
voto: 3/5

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