La giovane Linnéa, bella biondina svedese di 19 anni, lascia la sua terra e parte alla volta di Los Angeles con l'intento di realizzare a tutti i costi il suo desiderio: diventare una pornostar di successo. Il suo impatto con l'industria americana dell'intrattenimento per adulti non sarà però come si aspettava e ciò metterà a dura prova la resilienza della ragazza: tra umiliazioni psico fisiche, cinica mercificazione del suo corpo, violenza morale, compromessi di ogni tipo, abusi resi "legittimi" da espliciti contratti di auto-accettazione, sadico cinismo e maschilismo imperante. In un mondo dominato dai maschi, in cui tutto è permesso in nome di profitto e voyeurismo, Linnéa dovrà decidere se accettare di prestarsi a prestazioni erotiche sempre più estreme e perverse, pur di entrare nella scuderia "privilegiata" di Mark Spiegler, il più potente e famoso agente di pornodive, colui che sembra possedere le chiavi del successo necessario a realizzare il grande sogno americano a cui la nostra ambisce. Ottimo esordio registico della svedese Ninja Thyberg, che ha scritto e diretto con brutale realismo questo piccolo grande film d'autore (mai distribuito e mai doppiato nel nostro paese), che ha ottenuto larghi elogi da parte della critica sia al Festival di Cannes (dove è stato presentato in anteprima) sia al Sundance Film Festival. Interpretato con efficacia da un'altra esordiente, la 24-enne Sofia Kappel, splendida attrice di Stoccolma calatasi con sorprendente mimesi nel difficile ruolo della protagonista Linnéa, Pleasure è uno spietato ritratto, sincero, a tratti disturbante e del tutto privo di fronzoli o di abbellimenti, della milionaria industria della pornografia americana, un mondo sotterraneo regolato da leggi feroci e rigorosamente nelle mani di una "oligarchia" maschile, che impone la propria visione della donna come oggetto sessuale regalando al (numeroso) pubblico esattamente quello che desidera guardare (anzi spiare), protetto dall'ipocrita anonimato di un ideale "buco della serratura", oggi incarnato dai diffusi mezzi tecnologici. Al netto di facili moralismi (che il film evita saggiamente di fare) e di patetici predicozzi perbenisti, è arcinoto che il settore della pornografia sia (da sempre) un business molto redditizio grazie alla "complicità" della maggior parte del pubblico di utenti (generalmente maschi occidentali) a cui si rivolge. Si potrebbe anche dire che questa pellicola di aspra denuncia finisca essenzialmente per scoprire "l'acqua calda", perchè è evidente a chiunque possegga un minimo di raziocinio e di cultura che la "recitazione" da parte delle pornodive, pur dietro legittimo consenso ed in cambio di lauti compensi economici, sia una sorta di sfruttamento della "prostituzione" in nome di libero arbitrio, libidine voyeuristica e leggi del business. Ma è altresì del tutto scorretto interpretare questo film (che pure ci offre una sgradevole lettura a base di esplicito realismo del mondo del porno visto dall'interno, attraverso lo sguardo femminile di Linnéa) unicamente come esplorazione dal fine accusatorio dello spietato sistema di affari che sorregge lo showbiz a luci rosse. Quest'opera scomoda, sincera e tagliente è piuttosto una potente allegoria sul lato oscuro e sulle molteplici contraddizioni "immorali" del capitalismo occidentale e del così detto "Sogno Americano" in particolare: intrinsecamente rapace, eticamente ingiusto, ferocemente avido e concettualmente edificato, per la sua stessa intima natura, sulla prevaricazione di uomini a danno di altri uomini. Trattasi, dunque, in nuce ed in metafora, di un film politico che si rivolge idealmente a (e contro) tutti: da chi decide, a chi opera, a chi guarda. L'estrema sincerità della regista si evince da come viene raccontato il rapporto di pseudo "sorellanza" che s'instaura tra le colleghe pornostar (che in teoria dovrebbero essere tutte dalla stessa parte della barricata), evitando così le trappole di un'interpretazione manichea e faziosamente schierata a 360° contro l'universo maschile ed in favore di quello femminile. Il porno è, evidentemente, un "sottobosco" estremo che non fa altro che enfatizzare ed inasprire modi di pensare, comportamenti e dinamiche tra i sessi che invero sussistono in qualunque contesto sociale, dal mondo del lavoro a quello familiare. E in questa selva di ingiustizie, violazioni, prevaricazioni e discriminazioni, è talvolta molto complesso riuscire a definire con nitidezza i ruoli o ripartire le colpe; perchè, spesso, le "vittime" finiscono per confondersi con i "colpevoli", prendendone le parti, assorbendone l'ideologia o cavalcandone la tossica aggressività. Il finale aperto, e tutto sommato indovinato, sembra lasciare una piccola luce di "speranza" in tanta greve cupezza, e per lo spettatore è una fugace boccata di ossigeno di cui, francamente, c'era bisogno. A parte la protagonista (Sofia Kappel), quasi tutti coloro che appaiono nel film sono veri attori o attrici dell'hardcore, o figure che operano a diversi livelli nel settore come il talent agent Mark Spiegler, nel ruolo di sè stesso.
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