venerdì 22 settembre 2023

Io capitano (2023) di Matteo Garrone

Seydou e Moussa sono due ragazzi senegalesi di Dakar, da sempre ossessionati dal sogno di evadere dalla loro squallida realtà e di tentare il "grande viaggio" verso l'Europa, per potersi costruire un avvenire migliore e dar seguito alla loro speranza di diventare delle star nel mondo della musica. Nonostante i pareri contrari dei familiari e la messa in guardia da parte di saggi conoscenti incontrati durante la raccolta di informazioni, i due giovani, animati dal fuoco dell'età verde e dalla forza dell'incoscienza, decidono ugualmente di partire di nascosto, dando fondo a tutti i loro risparmi accumulati nel tempo proprio per questo scopo. Ma la loro grande avventura verso la "terra promessa" si rivelerà molto diversa da come se l'aspettavano, assumendo fin da subito connotazioni tragiche e dolorose. Finiti nelle mani dei trafficanti di esseri umani, criminali senza scrupoli e senza morale, i nostri dovranno affrontare pericoli, privazioni, abusi, violenze e umiliazioni: dall'infuocato deserto del Sahara alle disumane carceri libiche, dai ghetti di attesa "terra di nessuno" al mar Mediterraneo, l'ultimo e più periglioso ostacolo che li separa dal grande sogno, con la vita e la morte costantemente appese in bilico come su una lama di rasoio. Questo potente dramma di denuncia sociale di Matteo Garrone, scritto dal regista stesso insieme a Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini e Andrea Tagliaferri, è nato da un'idea dell'autore romano dopo aver letto un fatto di cronaca reale sulla terribile esperienza vissuta da alcuni migranti africani, un racconto che lo ha colpito fin da subito nel profondo. Girato nei luoghi reali, con attori autoctoni non professionisti che hanno recitato in lingua wolof (una delle tante lingue ufficiali parlate in Senegal), in arabo o in francese, Io capitano è un realistico apologo sul delicato ed attualissimo tema umanitario dei migranti, pensato fin dall'inizio come un affilato controcanto rispetto a tutto quello che sappiamo e che siamo abituati a vedere sull'argomento. Garrone spariglia le carte e ribalta gli stereotipi, con un'operazione coraggiosa che affonda le radici nella cronaca ma non dimentica di guardare all'arte. E, in questo caso, l'arte è quella propria del grande regista italiano, già dispensata largamente in una filmografia ricca di capolavori, la cui tipica astrazione contemplativa si colloca a metà strada tra la dura essenza dei fatti, il territorio surreale del Mito (in questo caso l'Odissea omerica) e quello della favola nera, con personaggi archetipali e simbolici o momenti onirici che ribaltano i cliché della materia affrontata e si fanno portatori di un messaggio umanitario di matrice universale, secco e denso, privo di enfasi retorica ma, piuttosto, attraversato da lampi visionari che rendono le immagini indimenticabili, imprimendole a fuoco nella memoria. Non a caso i due protagonisti non scappano da guerre o da situazioni di miseria insostenibile, ma preferiscono abbandonare il loro umile "nido" familiare, pieno di amore, di empatia, di protezione, ma anche di scarsità di prospettive, rischiando la loro vita pur di rincorrere il sogno di un futuro diverso e, forse, migliore. E lo stesso si può dire della scena dello scafista, più umano di tanti suoi simili, che consegna un telefono satellitare ai naviganti disperati, in modo da poter contattare una organizzazione umanitaria di soccorso in caso di necessità. O, ancora, sulla quasi sorprendente assenza di tempeste durante la fatale traversata. Il concetto che Garrone pone alla base di questo crudo racconto, narrato con lucidità e purezza, senza ampollosità né pietismi, senza sermoni morali o intenti polemici, lasciando da parte la politica ma abbracciando pienamente un dignitoso spirito solidale, è quello di invertire il punto di vista tipico delle storie sui migranti, offrendoci in presa diretta e con passaggi che guardano al romanzo documentaristico, la totale prospettiva di chi parte, di chi lascia la propria casa per fare il viaggio della vita, con il miraggio delle coste siciliane al di là del mare. Gli stilemi tipici del regista sono, saggiamente e pudicamente, ridotti al minimo, quasi come un atto di deferenza nei confronti della grande tragedia che sta raccontando e dei tanti che perdono la vita ogni giorno, in mare o nelle sabbie del deserto, poveri corpi anonimi dimenticati da tutti e rispetto ai quali si preferisce far finta di non sapere. Ma, anche se distillate col contagocce, le fugaci sequenze garroniane lasciano il segno ed esplodono come lampi memorabili (la donna soccorsa nel deserto da Seydou, l'apparizione magica della "città" luminosa tra i flutti notturni del Mediterraneo, lo straordinario finale in campo stretto sull'improvvisato capitano), bagliori di vera arte in uno scenario di morte e desolazione. Lodevole l'interpretazione spontanea e veemente dei due giovani attori protagonisti, Seydou Sarr e Moustapha Fall, che si sono donati anima e corpo al progetto con una partecipazione di ammirevole realismo. Presentato in concorso al Festival di Venezia, il film ha ottenuto mèsse di consensi da parte di pubblico e critica ed è stato meritatamente premiato con il Leone d'Argento alla regia per Matteo Garrone e con il Premio Marcello Mastroianni per l'esordiente attore senegalese Seydou Sarr. Scelto come rappresentante italiano ai Premi Oscar 2024 c'è da sperare che non si fermi e che il suo viaggio possa continuare. Fino alla "terra promessa".

Voto:
voto: 4,5/5

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