martedì 22 luglio 2014

I diabolici (Les diaboliques, 1955) di Henri-Georges Clouzot

Capolavoro di Henri-Georges Clouzot, uno dei padri del thriller moderno, che fu un enorme successo popolare e che portò definitivamente il genere verso uno stile più cupo e scioccante, sia nelle immagini che nei contenuti. E', senza ombra di dubbio, il miglior psico-thriller mai girato, insieme all'insuperabile masterpiece Psycho (1960) di Alfred Hitchcock. Clouzot, all'epoca giustamente definito, l'Hitchcock francese, è passato alla storia per il suo cinema "perfido" e "crudele", pur non raggiungendo mai la grande popolarità dell'illustre collega britannico. I diabolici è la sua opera più famosa ed uno dei suoi capolavori, e con esso ha influenzato enormemente tutta la cinematografia thriller successiva, dando vita ad un indiscusso modello poi da tanti imitato. Tratto dal racconto "Celle qui n'était plus" di Pierre Boileau e Thomas Narcejac, del 1952, il film ne esaspera magistralmente i contenuti morbosi, creando un'escalation di tensione, con alcune suggestioni che sfociano nel macabro e nell'horror, che ha pochi uguali nella storia del cinema. Parafrasando l'avvertimento inserito alla fine del film stesso, bisogna dire che questa è una di quelle pellicole di cui meno si parla della trama e meglio è: infatti uno dei suoi punti di forza risiede nel finale a sorpresa e nei colpi di scena che costellano l'avvincente narrazione. Ad un certo livello, il film è un "diabolico" apologo sui lati più oscuri dell'animo umano, che Clouzot è bravissimo a tratteggiare con il solito tagliente cinismo e la sua proverbiale misantropia. E' infatti quasi naturale leggere il film, non solo come un superbo thriller "a tinte forti", ma anche come un'amara riflessione sulla doppiezza della natura umana e sul male che spesso si cela sotto una facciata borghese e perbenista. Tutta la prima parte è descrivibile in tal senso, con una minuziosa presentazione dei tre personaggi principali, coinvolti nello scandaloso gioco a tre, che ne scandaglia perfettamente la psicologia, pur dando, a tratti, la sensazione di qualcosa di ineffabile che striscia sotto le apparenze. Anche i momenti di humour nero sono perfettamente integrati nel dipanarsi della vicenda e consentono di tirare un po' il fiato, in vista dell'allucinante crescendo finale, denso di sequenze shock memorabili, rimaste indelebili nella storia del cinema horror. Tra i personaggi protagonisti, tutti mirabilmente interpretati, resta indelebile l'immensa Simone Signoret (Nicole, l'amante) che dà vita ad una dark lady indimenticabile, ambigua ed erotica, che contrasta abilmente con la tenera ed indifesa Vera Clouzot (Christina, la moglie), succube delle angherie del perverso marito. Il regista è bravissimo nel riprendere le due donne con un gioco di sovrapposizione di immagini, come a rappresentare le opposte facce della stessa medaglia. In certi momenti sembra addirittura trasparire una labile tensione sessuale tra le due complici, ed anche questo elemento farà scuola nel cinema a venire, specialmente nei truculenti "spaghetti thriller" nostrani. Elemento cardine della pellicola è l'acqua, un tipico elemento di vita che qui diventa portatore di morte. Clouzot, in un ricercato gioco di dettagli e di allusioni, ce la presenta a più riprese: la pozzanghera che appare in apertura, la brina, la condensa, la goccia che cade, fino alla piscina ed alla vasca da bagno che resterà nell'immaginario collettivo.

Voto:
voto: 5/5

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