Il livornese Virzì abbandona la commedia e ci regala il suo film migliore con quest'opera nera, ambientata in quella "Padania" brianzola che rappresenta il cuore economico pulsante del "belpaese" ma che ne incarna, altresì, la crisi, i vizi ed il senso di smarrimento. Liberamente tratto da un romanzo di Stephen Amidon, con l'azione spostata dagli Stati Uniti al nord Italia, questo undicesimo opus di Virzì è un amaro apologo sul degrado morale dei nostri tempi, sulla cupidigia di certi faccendieri che hanno rovinato il nostro paese e sulla crisi economica che per alcuni è un tragico nemico, per altri una cinica opportunità e per altri ancora uno scudo dietro cui nascondersi. Diviso in un prologo, 3 capitoli ed un epilogo ha la sua forza nella struttura "ellittica" (memore del Kubrick di Rapina a mano armata) che racconta ogni volta la medesima storia da un punto di vista differente, a seconda del personaggio protagonista della singola tranche. L'epilogo svela il "giallo" al centro della vicenda e chiarisce, beffardamente, il senso tragico del titolo. Fedele alla grande tradizione del nostro cinema d'impegno civile Virzì traccia un affresco desolante e spietato di certi aspetti della nostra società e lo fa con le "armi" tipiche della grande Commedia all'Italiana: corrosiva critica di costume, spietata analisi degli aspetti sociali più deteriori e feroce connotazione dei personaggi usati come simboli dei vizi nazionali: cinismo, egoismo, opportunismo, machiavellismo spinto fino all’attitudine criminale. Nel buon cast spiccano Bentivoglio, che porta in scena abilmente un "idiota" dei nostri tempi, tanto viscido quanto inquietante, e Gifuni, maschera monolitica di quel mondo finanziario che prospera sulle altrui sciagure. La comunità brianzola non ha gradito ma è chiaro che il film vuole offrire un quadro solo parziale, e per nulla esaustivo, della Brianza, del Nord e dell'Italia.
Voto:
Nessun commento:
Posta un commento