Trelkovski (Polanski) è un timido e modesto impiegato di origini polacche, che vive in Francia ed è alla ricerca di una casa a Parigi. Finisce per affittare un appartamento in uno stabile cupo ed inquietante, abitato da loschi e sinistri inquilini e dove ha precedentemente vissuto una donna, Simone Choule, che ha appena tentato di togliersi la vita buttandosi dalla finestra del palazzo. Trelkovski cerca di saperne di più sull'appartamento e si reca in ospedale a trovare la donna, ma sarà per lui l'inizio di un incubo ad occhi aperti, sempre più oscuro ed angosciante. Roman Polanski adatta il romanzo "Le locataire chimerique" di Roland Topor, per questo splendido incubo gotico, denso di suggestioni kafkiane e di elementi surreali, che fonde insieme thriller, horror, commedia nera e registro del grottesco. Questo film contiene tutte le ossessioni del grande regista franco-polacco e va a completare, insieme ai precedenti "Repulsion" (1965) e "Rosemary's Baby" (1968), un'ideale trilogia sul tema degli appartamenti inquietanti, ovvero dell'orrore indicibile che, a volte, si nasconde dietro la banalità del quotidiano (i vicini di casa o le persone che ci circondano). Grazie anche al superbo lavoro di fotografia di Sven Nykvist (tipico collaboratore di Bergman) il film ci regala atmosfere da incubo, splendide suggestioni orrorifiche in chiaro scuro e momenti di assoluta tensione difficili da dimenticare. Dal punto di vista tecnico la pellicola è di portata sontuosa: impossibile non citare, ad esempio, il grande lavoro fatto nelle inquadrature aeree ed i frequenti cambi di prospettiva con l'uso della Louma (una macchina da presa montata su un braccio meccanico telescopico), metodo che sarà poi imitato anche dal nostro Dario Argento in "Opera" (1987). In bilico perenne tra horror e black comedy, il film è un perfetto esempio di estrosa capacità nella fusione dei generi e di costruzione della tensione psicologica. Come un sogno, o meglio un delirio, sempre più tetro e stravagante, ci immerge nella mente di Trelkovski attraverso un viaggio denso di simboli e di metafore, dove tutto è suggerito e quasi nulla viene spiegato. Il labile confine sogno-realtà, follia-razionalità su cui si muove questo horror psicologico, conducono lo spettatore in un percorso straniante molto simile ad un labirinto fatto di specchi. I temi cardine, qui espressi con fertile ambiguità, sono la paura del "diverso", la moderna incapacità di comunicare e la solitudine che spesso ci accompagna pur vivendo tutti in promiscuità. Un altro tema, tipicamente polanskiano, è quello di come le apparenze, vedi il modo di vestire o di parlare, finiscano, spesso, per caratterizzare una persona o meglio il modo con cui "gli altri" ci vedono: come se finissimo per diventare "quello che sembriamo" piuttosto che "quello che siamo". I tanti simbolismi di natura psicoanalitica supportano degnamente le tematiche predette: il palazzo alveare che disgrega la psiche, i geroglifici sulle mura del bagno, il macabro orrore nascosto nelle pareti, le figure immobili dietro ai vetri, la metamorfosi finale, fino alla personalità multipla. Da segnalare pure una sensualissima Isabelle Adjani e l'eccellente lavoro fatto anche dal Polanski attore protagonista, che si doppia da sè anche nella versione italiana del film. Consigliato agli amanti degli horror psicologici non convenzionali.
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