martedì 22 luglio 2014

Pandora (Pandora and the Flying Dutchman, 1951) di Albert Lewin

La bellissima Pandora Reynolds, inquieta e sensuale, si prende gioco dei suoi numerosi spasimanti, finchè incontra un misterioso navigatore, di cui si innamora perdutamente. L'uomo però ha un tragico segreto e un destino fatale: egli è l'Olandese volante, condannato da Dio (per avere ucciso la moglie e peccato di blasfemia) a vagare sui mari, finchè non troverà l'amore di una donna disposta a morire per lui. Pandora è un melodramma appassionato e "fiammeggiante" (esteticamente esaltato dal technicolor d’epoca), che riesce a unire al rispetto dei canoni del genere, una notevole quantità di ulteriori motivi di interesse. Anzitutto la componente fantastica, con la leggenda dell'Olandese volante, e le conseguenti accensioni visionarie (che si potenziano con quelle propriamente passionali della vicenda). Poi il richiamo alla mitologia greca, fin dal nome della protagonista che è lo stesso della donna che, secondo la leggenda, scatenò sulla terra tutte le sciagure, contravvenendo agli ordini ed aprendo il vaso proibito in cui erano contenute. Ed anche le conseguenti implicazioni psicanalitiche, di natura subdolamente misogina, sul potere del fascino femminile, sull'attrazione della trasgressività e sulla natura "scandalosa" ed "eccessiva" della passione. Quindi il tema surrealista della forza dell'amore, capace di superare i confini della vita per acquisire risonanze ultraterrene (e da ciò derivano ulteriori suggestioni visionarie), che trova i suoi precedenti cinematografici in Sogno di prigioniero (1935) di Hathaway e Ritratto di Jennie (1949) di Dieterle. Altri elementi notevoli dell'opere sono i riferimenti pittorici alla tradizione fiamminga seicentesca e l'esuberanza barocca delle scenografie, lo straordinario uso del technicolor per "incendiare" lo schermo, in accordo con la trascinante forza delle immagini e il potenziamento della "retorica" del melò. E non va taciuta la consonanza tra il ritratto del personaggio femminile del film e la personalità della protagonista Ava Gardner, all'epoca donna bellissima, sensuale e spregiudicata, i cui amori tempestosi (da Sinatra a Walter Chiari) riempivano le cronache mondane dei rotocalchi anni '50. Insomma ce n'è d'avanzo per considerare questo film suggestivo, complesso, eccessivo e ammaliante, quindi un "unicum" cinematografico, un'opera insolita e perturbante, carica di richiami segreti e doppi fondi da esplorare, nella quale molti potrebbero vedere rispecchiati sogni, desideri e pulsioni nascoste (la componente onirica non è secondaria nella sottile capacità di seduzione del film). E' una delle massime espressioni del melodramma cinematografico.

Voto:
voto: 4,5/5

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