Marco Carrera, di professione medico, è un uomo benestante e posato, dai modi gentili ma con tanti problemi che covano sotto una facciata di apparente tranquillità. E' sposato con Marina, donna depressa e instabile, che cerca compulsivamente in scappatelle clandestine e in sedute di psicanalisi quella felicità interiore che non riesce a trovare in sè stessa. Marco ha anche una figlia (Adele), un fratello (Giacomo) con cui non ha più rapporti a causa di antichi dissidi e due genitori che non si sopportano più ma che non riescono a stare lontani l'uno dall'altro. Nell'esistenza di Marco continuano a riemergere le ombre dolorose di una gioventù impossibile da dimenticare: con il senso di colpa di una sorella morta tragicamente a vent'anni ed il grande amore della sua vita per una donna francese, Luisa, conosciuta durante le vacanze adolescenziali all'Argentario. Un amore mai consumato e mai dimenticato. Questo intenso e dolente film, scritto e diretto da Francesca Archibugi adattando l'omonimo romanzo best seller di Sandro Veronesi, è un melodramma familiare quietamente disperato che procede in modo non lineare, in un continuo gioco di salti temporali all'indietro o in avanti, per raccontare la vita del protagonista, Marco Carrera detto il colibrì, tra la giovinezza, la maturità e la vecchiaia. Ambientato tra Roma, Parigi ed il mare dell'Argentario (dove si svolgono le sequenze migliori), è la storia di un dramma borghese con al centro un uomo pavido e indeciso, così preoccupato di non danneggiare il suo prossimo da non riuscire mai a renderlo felice, ad abbandonarsi ai suoi veri desideri, a prendere in mano la sua vita ed essere finalmente libero, appagato, proattivo. La metafora del colibrì, minuscolo uccello esotico che sbatte le ali vorticosamente restando praticamente immobile, è perfetta per questo protagonista che è l'espressione di un conformismo inetto e insoluto, tipico di un certo ceto sociale abbiente e imbellettato, ossessionato dalla forma a discapito della sostanza. Ma nonostante le buone interpretazioni di un ricco cast che annovera nomi come Pierfrancesco Favino, Laura Morante, Bérénice Bejo, Alessandro Tedeschi, Kasia Smutniak,
Nanni Moretti e
Benedetta Porcaroli, il film non riesce mai a penetrare compiutamente al di sotto della superficie, per toccare le corde di una emotività più profonda e sfumata, ma gravita costantemente in un limbo di inerzia sentimentale, per poi inciampare in un finale languido fin troppo caricato. I momenti più riusciti sono sicuramente i flashback giovanili, intrisi di una sincera atmosfera nostalgica sulla malinconia del tempo perduto, delle occasioni mancate e delle decisioni non prese. Una menzione speciale va data per tutti i giovanissimi attori (e in particolare per Fotinì Peluso), che confermano il talento naturale della regista romana nello scegliere e dirigere gli interpreti di minore età. E va altresì citato l'efficace cameo di Massimo Ceccherini nei panni di un incallito giocatore d'azzardo pentito, che riesce ad essere felicemente straniante, rendendo sofferta e tenera la sua innata "faccia da Picasso".
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