Vita, carriera, amori, trionfi, delusioni e sconfitte di un mito assoluto del cinema americano: Norma Jeane Baker, da tutti conosciuta con il suo nome d'arte, Marilyn Monroe, la cui tragica e prematura scomparsa (ancora oggi ammantata da un alone di mistero e oggetto di molteplici teorie complottistiche) ne ha ulteriormente accentuato l'aura, rendendola per sempre una leggenda immortale. Il regista australiano Andrew Dominik ha cullato a lungo questo progetto, a cui ha iniziato a pensare fin dal 2010, prima di scrivere e dirigere questo film controverso, provocatorio ed a tratti addirittura inquietante, ispirandosi liberamente al già discusso romanzo omonimo di Joyce Carol Oates. Esattamente come il libro ispiratore la pellicola non segue la biografia ufficiale della famosa attrice, ma ne reinventa (e reimmagina) molte parti scegliendo un approccio scomodo, metaforico, politicamente scorretto, estremamente caustico nei confronti del potere, dei mass media, del cinema hollywoodiano e dell'America in generale. Non c'è dunque da meravigliarsi che il film sia stato un flop e che abbia generato un vespaio di polemiche e di critiche soprattutto negli Stati Uniti. Quello che molti non sono riusciti a digerire, specialmente tra il pubblico medio, è che il regista abbia "fatto a pezzi" un'icona mondiale di bellezza e seduzione, per raccontarne, con atmosfere talvolta crudeli e agghiaccianti dai toni quasi "horror", gli aspetti fragili ed il lato oscuro, non senza sospetto di compiacimento. E' innegabile che Blonde sia un film feroce, un film che fa male, ma che, proprio per questo, coglie nel senso ed ottiene esattamente ciò che l'autore si era prefisso. E' un'opera potente, coraggiosa, non banale e impossibile da dimenticare, che nelle sue quasi tre ore di durata (passando continuamente dal colore al bianco e nero) oscilla con impeto tra alti e bassi, per un risultato ambiguamente bifronte, in una sorta di adesione emotiva al tema del "doppio" che ne è alla base. Il cuore della pellicola risiede tutto nel dualismo distruttivo tra Norma Jeane (ragazza bella e fragile, costantemente alla ricerca prima del padre che non ha mai avuto e poi del figlio che non avrà mai per colmare il suo disperato bisogno di amore e tenerezza) e Marilyn (la sua rivalsa e la sua nemesi, la bomba sexy oggetto del desiderio di tutti gli uomini del mondo, la diva ingombrante che ha finito per fagocitarla e che ne ha decretato la tragica morte, dopo averla esaltata nell'immaginario collettivo). Dominik si conferma un regista importante e dal talento sopraffino, e dà vita ad un film affascinante e complesso che, da un lato, non è esente da difetti: qualche scivolone nel trash involontario, qualche passaggio didascalico, qualche petulanza ideologica e qualche indulgenza nella sua turgida impostazione a tesi dal sapore misandrico (in tal senso sono del tutto ridicole le strumentali accuse di misoginia che qualcuno ha mosso alla pellicola). Ma, di contro, questo Blonde straborda di momenti di grandissimo cinema (la lunga sequenza della corsa in auto attraverso la California in fiamme è pura magia visiva), di cura maniacale dei dettagli (la ricostruzione pedissequa e magnifica dei momenti topici della vita dell'attrice, con tanto di ricreazione delle atmosfere, della gradazione dei colori e della illuminazione fotografica), di tensione emotiva e di tagliente causticità. Non è scorretto leggere questo film grande, lungo e ruvido come un atto d'accusa assoluto verso il genere maschile contro cui l'autore punta il dito: dal padre assenteista ai mariti inconsistenti, dal presidente americano (Padre della nazione) fino al pubblico, e quindi a tutti noi, ovvero a tutti coloro che hanno "oltraggiato" il mito Marilyn con una semplificazione voyeuristica, facendone un oggetto sessuale di cui ciascuno brama il suo pezzo calpestando l'anima celata dietro la diva. In tal senso sono magnificamente emblematiche la scena da incubo della folla che letteralmente "sbrana" Marilyn con gli occhi (fortemente ispirata a King Vidor) e quella (inevitabilmente controversa) dello "stupro eccellente" che si consuma nel finale (per molti offensiva e ridicola ma, a mio parere, da incorniciare per il suo efferato simbolismo). Nel grande cast (che annovera nomi come Adrien Brody, Bobby Cannavale, Julianne Nicholson, Lily Fisher o Sara Paxton) spicca la magnifica protagonista Ana de Armas, luminosa ed intensa, giustamente candidata all'Oscar come miglior attrice. Nelle sale americane il film è uscito con un assurdo divieto ai minori di 17 anni e nella sua distribuzione sulla piattaforma di streaming Netflix ha avuto uno scarso apprezzamento da parte del pubblico. Eppure è un film da non perdere, uno dei migliori e dei più carichi di personalità dell'annata 2022.
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