Rose è un psichiatra molto dedita al suo lavoro e con un angoscioso trauma del passato che non riesce a cancellare: la morte per suicidio della madre alcolizzata a cui lei, adolescente, assistette senza intervenire. Un giorno una giovane paziente arriva da lei in preda ad una totale disperazione e le racconta una strana storia: ritiene di essere perseguitata da un demone che, dopo essersi impossessato di un corpo, si manifesta agli altri attraverso un inquietante sorriso del volto e che conduce il posseduto prima alla follia e poi al suicidio. Quando Rose vede la ragazza tagliarsi la gola davanti a lei, col sorriso stampato sulla faccia, inizia a sospettare che il racconto della vittima possa nascondere una oscura verità. Ben presto il demone del sorriso inizierà a tormentare anche lei, facendola scivolare in un orrendo incubo. Ma è tutto reale o si tratta di allucinazioni contagiose? Questo horror psicologico dell'esordiente Parker Finn (che lo ha anche scritto oltre che diretto, ispirandosi ad un suo precedente cortometraggio del 2020 intitolato "Laura Hasn't Slept") è un film di paura che gioca abilmente con i violenti traumi, e relativi sensi di colpa, sepolti nella psiche umana, senza disdegnare fugaci accenni sarcastici a certe consuetudini sociali di facciata che "impongono" un atteggiamento felice come esibizione del proprio status di benessere e di affidabilità. La pellicola ha i suoi punti di forza in una prima parte molto inquietante, in alcuni momenti di notevole tensione e nella lodevole interpretazione della protagonista, la californiana Sosie Bacon (figlia d'arte del più famoso Kevin e di Kyra Sedgwick), che risulta intensamente credibile nella caratterizzazione tormentata della psicologa che combatte contro i (propri) demoni. Ma va anche detto che molto si perde in un finale troppo esplicito ed esplicativo, nel quale la resa degli effetti visivi suscita più imbarazzo che terrore. Inoltre non potrà sicuramente sfuggire agli appassionati del genere come il film sia ampiamente derivativo e fortemente debitore di celebri (e più riusciti) predecessori, Ringu (1998) di Hideo Nakata (che già aveva avuto un remake americano nel 2002 con Naomi Watts) e soprattutto l'agghiacciante It Follows (2014) di David Robert Mitchell, per l'espediente narrativo della maledizione che si trasmette, come una catena, di persona in persona fino alle estreme conseguenze.
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