sabato 15 gennaio 2022

Ariaferma (2021) di Leonardo di Costanzo

Un vecchio carcere in stato di degrado, posto in una remota vallata tra boschi e colline, è prossimo alla chiusura con relativo trasferimento degli agenti e dei detenuti che vi alloggiano. A causa di un impedimento burocratico, 12 detenuti sono costretti a restare per un tempo prolungato non chiaramente definito nel sito, in attesa del via libera al loro cambiamento di sede. Ciò costringe un manipolo di una decina di guardie, guidate dall'esperto ispettore Gargiulo, a fermarsi malvolentieri nella prigione, fino a quando sarà necessario. La stranezza della situazione, l'atmosfera inquietante degli ambienti semivuoti e dell'austera struttura ottocentesca in stato di abbandono ed una serie di eventi imprevisti, faranno nascere un singolare rapporto di tensione tra agenti e carcerati, nelle cui opposte fazioni spiccano le personalità carismatiche di Gargiulo, da un lato, e dello scaltro boss Lagioia, dall'altro. Il terzo lungometraggio dell'ischitano Leonardo di Costanzo (da lui anche scritto insieme a Bruno Oliviero e Valia Santella) è un cupo dramma carcerario dallo stile asettico di rarefatta suggestione, sotto forma di affresco psicologico introspettivo di intimistica valenza che analizza nel profondo le dinamiche relazionali tra esseri umani in condizioni estreme. In questo caso la magnifica ambientazione raggelante nell'antica fortezza carceraria dall'aspetto tetramente monumentale rappresenta un elemento essenziale, un autentico protagonista aggiunto, capace di modulare e determinare il tono della pellicola con il suo clima da limbo sospeso, con i suoi silenzi severi, con la sua malia eterea, con il costante senso di minaccia incombente, restituendoci la forma concreta, che ci immerge sensorialmente a poco a poco, del concetto filosofico di attesa, declinandolo lucidamente attraverso un sommesso caos che cova sotto la cenere fatto di conflitti morali, pulsioni viscerali, sensi di colpa, sentimenti trattenuti, solitudine esistenziale, amaro disincanto. E, non ultimo e non meno importante, la costante evidenza della contraddizione che esiste tra un senso di giustizia necessario ma astratto e la sua reale applicazione pratica, con tutto il relativo carico annesso di denuncia sociale, critica politica, solidarietà umana e pietosa compassione. Senza fornire esplicite risposte alle questioni sollevate e senza mai alzare la voce, questo film di preziosa bellezza formale procede in maniera ovattata ma inesorabile, sussurrando i suoi temi con sobria compostezza, viaggiando sempre sul filo ambiguo di un'angoscia emotiva strisciante, nella costante sensazione che qualcosa di terribile potrebbe accadere da un momento all'altro. Non a caso, e giustamente, molti critici hanno evocato attinenze con il capolavoro Il deserto dei Tartari (1976) di Valerio Zurlini, che ha diverse affinità stilistiche e semantiche con il film di Leonardo di Costanzo. Girato nella imponente struttura carceraria dismessa di San Sebastiano, vicino Sassari, l'opera non esplicita mai chiaramente collocazioni o appartenenze geografiche precise ma preferisce, con fertile indecifrabilità, posizionarsi in una sorta di altrove surreale, indefinito ma realistico, con una continua alternanza di elementi naturalistici (vedi l'aspetto, il comportamento e le inflessioni dialettali dei personaggi) e di spunti metaforici, che trasfigurano il delicato conflitto etico tra delitto e castigo, tra colpa e punizione, in nome di un senso di umanità vigoroso e frastornante. Non di meno, il regista si sofferma, anche dal punto visivo con la costante ricerca di una prospettiva circolare (suggerita dallo scenario principale e assecondata dai movimenti della macchina da presa), sui contrasti interiori che nascono e si sviluppano non solo tra le due opposte fazioni, ma anche all'interno dei singoli gruppi teoricamente omogenei, come segno di una chiave di lettura complessa e inevitabilmente problematica. Nonostante la presenza di due attori protagonisti di grande spessore, Toni Servillo e Silvio Orlando, che con due eccellenti interpretazioni in sottrazione magnetizzano le attenzioni, la pellicola mantiene una valida struttura corale, anche grazie all'ottima squadra di caratteristi di supporto tra cui segnaliamo Fabrizio Ferracane, Salvatore Striano e Pietro Giuliano. Menzione doverosa anche per la notevole colonna sonora etnica e sperimentale di Pasquale Scialò, che riesce a regalare effetti di straniante vertigine nelle sequenze più importanti. Presentato fuori concorso al Festival di Venezia, è un film importante, rigoroso e sottilmente incisivo, per cinefili dal palato fino.

Voto:
voto: 4/5

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