mercoledì 6 agosto 2014

Il volto (Ansiktet, 1958) di Ingmar Bergman

Complessa riflessione sul tema del doppio, carico di simbologie nascoste e pienamente coerente con quella fertile ambiguità verso cui il grande regista svedese inclinerà sempre più nei suoi film successivi a questo, Il volto è un'opera potente, estremamente suggestiva e densa di spunti di riflessione, sia morali che psicologici. Ambientato nell’800, narra la storia di una compagnia di artisti girovaghi, la cui principale attrazione è un illusionista ed ipnotizzatore, dotato forse di reali poteri magici. Invitato dai maggiorenti di un piccolo paese e da essi sbeffeggiato, l’illusionista ipnotizza alcuni dei suoi scettici spettatori (tra cui la moglie del sindaco), inducendoli a confessare  pensieri  e desideri più segreti. Avversato dal medico di palazzo, che lo ritiene un truffatore e vuole smascherarlo, l’illusionista si finge morto e riesce a terrorizzare il suo nemico, ma alla fine deve cedere di fronte al "potere" e riconoscersi un imbroglione. Con un festoso finale a sorpresa (che ricorda quello celebre, ed altrettanto improbabile, di L’ultima risata, 1924, di Murnau), la compagnia viene convocata a corte per la fama raggiunta e sottratta all’arbitrio dei notabili del paese. Costantemente in bilico tra dramma e commedia, visivamente straordinario (la sequenza dell’autopsia sul presunto cadavere dell’illusionista è un brano da antologia), il film è un intrigante apologo sul potere della fantasia, sul conflitto tra ragione e magia, e su quello tra l’ipocrisia borghese e l’anticonformismo dell’artista, ma i piani di lettura sono molteplici (compreso quello sulla natura della rappresentazione scenica), al punto da farlo considerare come uno dei più densi e pregnanti nella straordinaria carriera di Bergman. In molti passaggi appare evidente che il regista e lo "stregone" Vogler (Max von Sydow) siano lo stessa persona e, infatti, un ulteriore valore aggiunto è che la pellicola rappresenta un'opera molto personale in un particolare momento di difficoltà nella vita del regista, che la utilizza come "gioco" di autoanalisi e come "sberleffo" verso i soloni della critica. Per il suo problematico, ma geniale, ermetismo è una pietra miliare nell'itinerario bergmaniano, un paradigma della sua estetica.

Voto:
voto: 4,5/5

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