giovedì 7 agosto 2014

Vera Cruz (Vera Cruz, 1954) di Robert Aldrich

Secondo western di inizio carriera di Aldrich, è nettamente superiore al precedente (L'ultimo Apache) e figura tra i capolavori del regista. Spettacolare e, a tratti, travolgente, il film impressionò Truffaut, allora giovane critico dei "Cahiers du Cinèma", che lo definì "una smagliante lezione di costruzione di un racconto". In effetti, Vera Cruz evidenzia una maestria registica sostenuta dal puro piacere della "forma", che si traduce in uno spettacolo affascinante, sia a livello estetico che nel modo disincantato ed anticonformista di proporre i personaggi: a parte il protagonista Cooper, tutti gli altri sono cinici, infidi e disposti al doppio gioco, a cominciare dal formidabile "cattivo" interpretato con istrionica spavalderia da Lancaster. Vera Cruz è un western fondamentale anche perché ha influenzato i due registi che decreteranno la morte del genere. Da un lato Peckinpah, che, a partire da Sierra Charriba (Major Dundee, 1964), riprenderà dal film di Aldrich l’ambientazione messicana, lo schema dei gruppi di personaggi in lotta tra loro e contro tutti, e la visione di un mondo dominato dalle rivalità, dalla violenza e dal tradimento. Dall’altro lato Leone, che viene influenzato da Aldrich non tanto per la collocazione dei suoi western in Messico (per il quale Leone elimina ogni riferimento storico, trasformandolo in un "altrove" di pura fantasia), quanto per l’umorismo sarcastico, il beffardo cinismo e soprattutto per la caratterizzazione del personaggio-tipo interpretato da Eastwood, che discende in linea diretta da quello di Lancaster in Vera Cruz, la "carogna" affascinante ma spietata, il pistolero-mercenario infallibile con le armi e pronto a tutto per il denaro (molto più che dal Yojimbo di Kurosawa, dal quale Leone "rubò" la vicenda del celebre Per un pugno di dollari).

Voto:
voto: 4,5/5

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