mercoledì 25 gennaio 2017

Il figlio di Saul (Saul fia, 2015) di László Nemes

Saul è un ebreo ungherese prigioniero in un campo di sterminio nazista e reclutato come “sonderkommando”, ovvero come aiutante degli aguzzini nell’esecuzione del loro folle disegno criminale. Le sue attività quotidiane, vissute con dolente assuefazione, consistono nell’accompagnare gli ignari deportati appena scesi dai treni nelle docce della morte, ripulire la scena dell’eccidio, trasportare i poveri corpi nudi verso i forni crematori e trafugare gli eventuali oggetti di valore nascosti nei miseri cenci delle sventurate vittime. Ma un giorno Saul crede di riconoscere suo figlio nel cadavere di un ragazzo e decide di trafugarne il corpo per risparmiarlo al fuoco e concedergli una degna sepoltura. Come pervaso da una mistica follia, l’uomo si mette alla disperata ricerca di un rabbino che possa officiare con rito religioso la tumulazione del ragazzo, ignorando del tutto gli evidenti rischi dell’impresa e le azioni furtive dei suoi compagni che stanno organizzando una rivolta contro i tedeschi. Straordinaria opera prima di László Nemes (già assistente del grande Béla Tarr) con questo autentico capolavoro che affronta il sempre scottante tema della Shoah con una potenza estetica, un rigore formale, una lucidità espressiva ed un pudore di sguardo che non hanno eguali nelle numerose pellicole finora dedicate all’Olocausto ebraico. Durante il periodo più oscuro della storia occidentale, all’interno delle atroci “fabbriche della morte” edificate dalla follia nazista, c’erano i sadici carnefici, le povere vittime e anche i prigionieri “di robusta costituzione” costretti a collaborare con il nemico nell’esecuzione del lavoro “sporco”, nella speranza di potersi salvare la vita. In realtà, nella spietata logica delle SS, i “sonderkommando” duravano pochi mesi, per poi essere a loro volta eliminati e sostituiti da nuovi arrivi più “freschi”. L’emblematica vicenda di Saul è quella di un uomo annichilito dagli orrori a cui ha assistito, abbrutito dalle condizioni di “vita” disumane in cui è costretto e tenuto in piedi dal solo primordiale istinto di conservazione, l’unica possibile fonte da cui attingere l’energia che gli consente di andare avanti, come un inerte automa che annaspa in un mare di brutalità e di dolore. Il fatale incontro con il ragazzo, che potrebbe essere suo figlio, saprà riaccendere in lui quella scintilla di umanità annientata da anni di atrocità e darà un senso (nella morte) alla sua non vita. La suggestiva scelta estetica dell’autore, girare il film in formato 4:3 (come a voler comprimere l’abominio) attraverso la prospettiva di Saul, con la macchina da presa perennemente incollata alle sue spalle o al suo volto, costituisce la geniale cifra stilistica ed il punto di forza assoluto di quest’opera magistrale. Attraverso il continuo ed inquieto “pedinamento” compiuto dalla camera nei confronti del protagonista, ci vengono pietosamente risparmiati gli orrori insostenibili che avvengono tutt’intorno, costantemente tenuti fuori fuoco, e la pellicola acquisice un dinamismo plastico che letteralmente ci immerge, e ci travolge, in un claustrofobico incubo ad occhi aperti. Un incubo di truce alienazione in cui tutte le coordinate morali sono state smarrite, da cui la dignità umana è volata via per sempre ed in cui la pur folle impresa del protagonista appare come l’unica cosa sensata. La disperata corsa di Saul diventa quella dello spirito dell’uomo che cerca costantemente (per dirla alla Dante Alighieri) la “via delle stelle” anche nel più profondo degli inferni. E il finale, tragicamente straordinario, che sublima tutti gli orrori con l’ultimo lampo visionario, è la chiosa perfetta per un film memorabile, capace di esprimere eroici frammenti di disperata umanità in un semplice gesto. Una menzione speciale va anche data all’intenso protagonista Géza Röhrig, alla fotografia “sporca” di Mátyás Erdély ed alle musiche angoscianti di László Melis. Il film, giustamente applaudito dalla critica di tutto il mondo, è stato meritatamente premiato con l’Oscar al Miglior Film straniero e con il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes.

Voto:
voto: 5/5

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