mercoledì 25 gennaio 2017

La via lattea (La voie lactée, 1969) di Luis Buñuel

Due viandanti percorrono il famoso cammino di Santiago di Compostela dalla Francia alla Spagna. Durante il tragitto s’imbattono in una serie di stravaganti personaggi e di situazioni al limite dell’assurdo: bambini che invocano anatemi, un alto prelato che dubita della Trinità divina e condanna al rogo il suo predecessore, un gruppo di anarchici che vogliono fucilare il Papa, due religiosi che si sfidano a duello dopo un litigio su questioni dogmatiche, il marchese De Sade che spiega alle sue vittime perchè Dio non esiste, la Madonna che dona un Rosario a un cacciatore sacrilego. Alla fine del viaggio una prostituta svelerà ai due uomini la vera identità del corpo, ritenuto dell’apostolo San Giacomo, sepolto nel celebre santuario spagnolo, meta annuale di migliaia di pellegrini. Capolavoro sarcastico di Buñuel, sotto forma di metafora surreale, intrisa di caustici graffi alla religione, che intende rappresentare il percorso del cristianesimo nell’arco dei secoli. L’irriverente verve iconoclasta dell’autore tocca il suo apice in questo film indubbiamente non facile e a volte un po’ confuso, ma stracolmo di inserti geniali e di trovate di visionarietà superiore, volte a mettere alla berlina le contraddizioni, i fanatismi, le ingiustizie ed i soprusi perpetrati dalla religione cristiana in nome di Dio. Paradossale e impudente, in bilico tra dramma e grottesco, storia e dottrina, satira e ideologia, questa personale versione della storia della Chiesa, reinterpretata da un ateo surrealista impenitente, può anche esser letta come libello sul potere o elegia della libertà. Ma la vera forza della critica dissacrante del grande Maestro di Calanda risiede nel suo intelligente relativismo: Buñuel, da sempre critico verso la Chiesa ed il suo dogmatatismo arrogante, non lesina rispetto verso l’importanza del Cristianesimo nella cultura occidentale, nè commette mai l’errore di incorrere nel medesimo peccato che qui intende condannare: il fanatismo capzioso che porta a ritenere la propria tesi come unica depositaria della verità. Ed è altresì evidente che, più che la dottrina in sè, egli intende attaccare l’uso demagogico che gli uomini ne hanno fatto per esercitare il proprio potere su altri uomini. Affilato e illuminato nel suo intento “sacrilego”, questo personale affresco metastorico è figlio (legittimo) degli anni di forte contestazione socioculturale in cui venne concepito.

Voto:
voto: 4,5/5

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