mercoledì 25 gennaio 2017

Silence (Silence, 2016) di Martin Scorsese

Nella prima metà del XVII secolo, al tempo delle violente persecuzioni in Giappone contro la minoranza cristiana, due giovani gesuiti portoghesi, padre Rodrigues e padre Garupe, decidono di partire verso la terra del sol levante alla ricerca del loro mentore, padre Ferreira, sparito nel nulla da molti anni. I due decidono di sfidare il grave pericolo degli spietati persecutori nipponici (che intendono eliminare dal loro paese ogni influenza occidentale), non solo per ritrovare il loro vecchio Maestro religioso ma anche per smentire le voci infamanti che lo accusano di aver abiurato la fede cristiana e di esser passato dalla parte avversa. Dal romanzo omonimo di Shûsaku Endô, Scorsese ha tratto un sontuoso capolavoro, di raggelante potenza visiva e di doloroso struggimento interiore, realizzando così un suo personale sogno rimasto a lungo nel cassetto. Il grande regista italoamericano ha infatti pensato a questo film per circa 25 anni, rimandandone più volte l’attuazione, prima di poterlo finalmente realizzare. Il tema centrale dell’opera letteraria, ovvero il Silenzio di Dio di fronte alla sofferenza umana, viene ampiamente sviscerato (e addirittura esteso) in questo film imponente, austero, teso, tetro, un denso apologo sulla fede e sul suo significato più recondito. Lineare nella struttura ma sfaccettato e sfuggente nei sottotesti, è un film cristiano e non catartico, un affresco problematico e meditabondo, ricolmo di dubbi e di tormenti (fisici ma soprattutto spirituali), che intende esplorare il cuore intimo della fede, ovvero il rapporto tra uomo e Dio in termini di patos interiore. Costruito abilmente come una via Crucis sempre più lacerante, riesce a sintetizzare con soprendente rigore espressivo una molteplicità di temi di elevato spessore (storia, politica, religione), mettendo sovente in discussione lo stesso punto di vista trainante (come già detto trattasi di una pellicola cristiana) e offrendoci anche le motivazioni della parte avversa, attuando così un fertile relativismo di giudizio. I confini tra follia e misticismo, evangelizzazione e invasione, intolleranza e rispetto delle proprie tradizioni, fanatismo e dogma, istinto di conservazione e codardia, sono, in fondo, molto esili e quest’opera magniloquente riesce quietamente a percorrere questa sottile linea di demarcazione, indugiando ora da un lato ora dell’altro del “baratro”, per mostrarci sprazzi di un abisso (interiore) fin troppo vasto per essere realmente compreso. Più che alla ragione Silence parla al nostro animo e al nostro cuore, a quell’essenza ora sublime ora miserabile che costituisce il nadir della spiritualità umana. Ponendo grandi domande, ma senza la banale pretesa di fornire risposte, quest’opera monacale e privata ci illustra un possibile percorso mistico esistenziale e, senza concedere sconti afflittivi, si erge prepotentemente come un nuovo modello con cui il cinema a sfondo storico dovrà fare i conti. Dal punto di vista tecnico è un capolavoro assoluto con la suggestiva fotografia di Rodrigo Prieto, i plastici movimenti di macchina, le prospettive dall’alto, l’imponente ricostruzione storico ambientale, le realistiche scenografie e i costumi di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, che letteralmente ci immergono, con feroce realismo, nel Giappone del 1600. Numerose le sequenze memorabili (l’agghiacciante prologo con le torture nella caldara naturale, l’arrivo sul mare nebbioso, il confronto tra Rodrigues e l’Inquisitore buddista), altrettanti i momenti di volo alto e le citazioni colte al grande cinema d’autore orientale (Mizoguchi e Kurosawa in primis). Nel cast tra Andrew Garfield, Liam Neeson, Tadanobu Asano e Adam Driver, i più efficaci sono i giapponesi Issei Ogata e Yōsuke Kubozuka. Interessante e fonte di non banali riflessioni la figura del “Giuda” nipponico, eternamente sospeso tra pentimento e debolezza, opportunismo e rimorso. Il ritorno di Martin Scorsese ai grandissimi livelli artistici che gli erano abituali è una notizia di cui ogni appassionato di cinema non può che gioire.

Voto:
voto: 4,5/5

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