venerdì 20 gennaio 2017

Sully (Sully, 2016) di Clint Eastwood

Chesley Sullenberger, detto “Sully”, è un esperto pilota di aerei di linea con tanti anni di servizio all’attivo. La mattina del 15 gennaio 2009 il volo US Airways partito dall’aeroporto newyorkese di LaGuardia con oltre 150 passeggeri a bordo, di cui il nostro è comandante, viene colpito da uno stormo di uccelli subito dopo il decollo, con conseguente avaria di entrambi i motori. Sullenberger è costretto a prendere rapidamente una decisione drastica e opta per un disperato tentativo di ammaraggio sul fiume Hudson. Il “miracolo” riesce e tutte le persone a bordo vengono tratte in salvo. La gente acclama “Sully” come un eroe popolare ma una commissione d’inchiesta della compagnia aerea lo mette sotto torchio e lo accusa di aver rischiato la vita dei passaggeri con una manovra avventata. Il comandante dovrà difendere la sua reputazione e la sua carriera dalle accuse infamanti. Quarto biopic consecutivo per Clint Eastwood, che ha un’evidente predilezione per il genere, con questo dramma biografico teso e denso che è anche il migliore del lotto citato. Diretto con mano sicura (sarebbe il caso di dire con il “pilota automatico”) e con stile asciutto, è un ritratto intimo di un eroe del nostro tempo, un uomo affidabile e discreto che ha fatto del lavoro e della dedizione la sua stessa vita. Interpretato da Tom Hanks con ammirevole senso della misura, il Sullenberger di Eastwood vuole essere la risposta elegante al clamore mediatico, all’esibizionismo della società tecnologica, all’arroganza dei venditori di fumo. Mirando a ridefinire il concetto stesso di eroe, attraverso un sagace  minimalismo dal sapore umanistico, l’autore ci regala un film compatto, agile, solido, un’accorata elegia dell’uomo comune che lavora dietro le quinte, con passione e competenza, e che non teme di metterci la faccia quando ritiene di essere nel giusto. Attraverso la figura di Sullenberger il regista intende lodare quella parte di umanità silente ed operosa che costituisce la spina dorsale del modello sociale capitalistico. E per ridurre il rischio di agiografia, sempre alto in operazioni di questo tipo, Eastwood sceglie di puntare soprattutto sullo scandaglio interiore del suo protagonista, evidenziandone anche la dimensione privata, le fragilità, i dubbi e le insicurezze. Dal punto di vista tecnico la pellicola è sontuosa: splendida fotografia “glaciale”, ottimo montaggio e perfetta realizzazione delle adrenaliniche sequenze dell’ammaraggio. A completare il cast un Aaron Eckhart baffuto e Laura Linney nel ruolo della moglie amorevole e determinata. Da un (grande) regista che ha fatto della sobrietà la sua cifra stilistica, un nuovo impeccabile esempio di nuovo cinema classico con cui fare i conti.

Voto:
voto: 4/5

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