Lee
Chandler è un solitario attaccabrighe in fuga dai fantasmi di un tragico
passato da cui non riesce a liberarsi. Calpestato da rimorsi e rimpianti l’uomo
abita in uno squallido seminterrato di Boston e sopravvive facendo umili
lavoretti per gli inquilini di un condominio. La morte del fratello maggiore
Joe, malato di cuore, lo costringe a tornare nella città del suo passato, Manchester-by-the-Sea,
dove lo stupefatto Lee scopre di essere stato nominato tutore legale del nipote
adolescente Patrick, unico figlio di Joe. Il frastornato Lee dovrà lottare tra
l’amore per il ragazzo e la sua incapacità di accettare quella vita da cui era
fuggito. Ormai non c’è più dubbio che il meglio del cinema americano
contemporaneo proviene quasi sempre dal circuito indipendente, lontano dalle
regole oppressive delle major hollywoodiane che sacrificano agilmente la
qualità dei contenuti e la libertà artistica sull’altare del profitto. E non fa
eccezione questo potente dramma autunnale di Kenneth Lonergan: un film
asciutto, teso e maturo che riflette con stile sussurrato sulle tragedie
familiari e sull’irrevocabilità del destino. La splendida ambientazione costiera
del nord est degli Stati Uniti, con la sua fredda luce, il suo mare grigio e i
suoi cieli limpidi che richiamano i paesaggi scandinavi, fa da cornice
“vivente” a una storia di sommessa disperazione e di dolente solitudine,
raccontata con sapiente lucidità dall’autore, in perfetto equilibrio tra
asprezza e compassione. Senza mai alzare la voce ma con lo sguardo perennemente
basso come quello del protagonista egregiamente interpretato da Casey Affleck
(che, in quanto a talento recitativo, dista anni luce dal più celebre fratello
Ben), il regista newyorkese, novello cantore di un’umanità schiacciata dal peso
della vita, ci sintonizza sui ritmi e sui tempi di Lee, per svelarci
gradualmente il suo mondo e i suoi tormenti, senza mai giudicarlo né
compiangerlo, ma accompagnandolo nel suo doloroso percorso con passo felpato. Straordinaria
la scelta stilistica di collocare a metà film la scena madre di maggiore
intensità emotiva, quella che svela tutti i perché, asciugandone ogni
tentazione sentimentale ma affidandola, pietosamente e lievemente, a uno
struggente commento musicale classico che quasi copre le voci dei personaggi.
Fedele a una messa in scena sobria ma non asettica, scrupolosa ma non gratuita,
la pellicola non cerca catarsi, non “ricatta” mai il pubblico con il pietismo
lacrimevole, né ambisce a consolatorie risoluzioni finali. Mira, piuttosto, con
approccio garbatamente problematico, a suscitare una fertile riflessione nello
spettatore, perché le cicatrici veramente profonde non possono mai rimarginarsi
del tutto. Sarebbe allora il caso di dire al pubblico: lasciate a casa i
fazzoletti ma utilizzate piuttosto testa, cuore e pancia, per digerire a piccole
dosi questo film che ti entra sotto la pelle, anche nei giorni successivi alla
visione. Un film adulto, misurato, raffinato e minuzioso nella cura del
dettaglio. Un film che fa bene al cinema americano. Sei candidature agli Oscar
2017 (film, regia, attore protagonista, attore non protagonista, attrice non
protagonista, sceneggiatura), due statuette vinte (sceneggiatura e Affleck)
ed un cast ispiratissimo in cui, al già citato Affleck
junior si aggiungono Lucas Hedges, Michelle Williams e Kyle Chandler.
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