Kevin
soffre di una grave forma di psicopatia dissociativa che lo porta a manifestare
ben 23 personalità differenti: ora infantili, ora miti, ora violente, ora
inquietanti. La battaglia interiore che si combatte nella psiche dell’uomo
sembra far prevalere le sue soggettività oscure, che lo spingono a rapire tre
ragazze adolescenti e rinchiuderle in uno scantinato, in attesa che si
manifesti una nuova e più pericolosa personalità, a cui le giovani innocenti
devono essere sacrificate. La psichiatra che si occupa della singolare
patologia del soggetto inizia a sospettare qualcosa e decide di tener d’occhio
i movimenti di Kevin, ma la situazione si fa ben presto rischiosa. Inquietante
psicothriller apocrifo di Shyamalan, che filtra attraverso il particolarissimo
sguardo dell’autore un insieme di influenze e di suggestioni derivanti da tanta
(anche eccellente) filmografia attinente del passato: da Hitchcock a De Palma,
passando per il misconosciuto Identità
di James Mangold. Come sempre il regista indiano utilizza un ritmo compassato e
atmosfere striscianti di minaccia incombente per raccontare una storia che
fonde i generi e le sue personali ossessioni, senza dimenticare il fantastico,
il fumettistico e l’amata Philadelphia, la location di quasi tutti i suoi film.
L’inevitabile finale a sorpresa (autentico marchio di fabbrica di Shyamalan) è
presente anche stavolta e farà la gioia dei fans incalliti dell’autore. Peccato
che, nonostante le buone interpretazioni di un mimetico James McAvoy e
soprattutto dell’intensa Anya Taylor-Joy (già apprezzata nell’horror
fantascientifico Morgan),
il film si trascini in un innocuo anonimato tra situazioni prevedibili e
momenti soporiferi (i dialoghi tra Kevin e la psicologa sono a dir poco
imbarazzanti), scegliendo di approfondire solo gli aspetti orrorifici e
soprannaturali ma trascurando, invece, quelli più sottili e interessanti,
legati ai ricordi infantili della (brava) protagonista femminile. Sarebbe stato
assai più stimolante se il regista avesse sviscerato con più lucido rigore la palese
connessione tra la battaglia psicologica di Kevin e quella (archetipa) della
protagonista, evidenziandone l’alone “mitologico” di eroina che cerca di
sconfiggere non solo i demoni esteriori ma, soprattutto, quelli interiori. Quasi
inspiegabile il notevole successo di pubblico riscosso dalla pellicola, che ha
il suo pregio maggiore nella fotografia cupa di pregnante espressività, che
conferisce agli interni sotterranei (l’antro di Kevin) una perversa malia
oscura. Per il resto ci troviamo di fronte ad un onesto lavoro di pura routine
derivativa rispetto ai tanti (troppi?) prodotti che il cinema ha dedicato alla
sinistra figura del serial killer.
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