Roma, 1943, in piena Seconda Guerra Mondiale, durante i funesti mesi dell'occupazione nazista. In un piccolo circo gestito dall'ebreo Israel lavorano quattro "freaks", bizzarri scherzi della natura costretti ad esibirsi come fenomeni da baraccone a causa di una società cinica e feroce che ne discrimina la "diversità". Fulvio (detto "uomo lupo") ha il corpo interamente ricoperto da un folto pelo belluino e una forza sovrumana. Matilde (la "ragazza elettrica") è un'adolescente che emette scariche elettriche e per questo motivo non può essere toccata da nessuno. Cencio ha la capacità di attirare e dominare tutti gli insetti, che rispondono fedelmente ai suoi comandi. Mario è un nano un po' tonto con poteri magnetici, grazie ai quali riesce ad attrarre i metalli come una calamita vivente. Oppressi dall'invasore tedesco, i nostri cercano di emigrare clandestinamente in America ma finiscono nelle grinfie dello spietato psicopatico Franz, principale attrazione del circo germanico "Zirkus Berlin", pianista nato con sei dita per mano e dotato di capacità di preveggenza. L'uomo è ossessionato dall'idea di creare un piccolo esercito di "super eroi" per aiutare la Germania a vincere la guerra e per questo dà la caccia a tutti i "diversi" nati con particolari abilità. Secondo lungometraggio del romano Gabriele Mainetti, scritto insieme a Nicola Guaglianone, e per il quale il regista ha atteso ben sei anni dopo il grande e inatteso successo del suo roboante esordio Lo chiamavano Jeeg Robot (2016). L'autore torna ad affrontare le tematiche della diversità e dei super poteri, intesi principalmente come una maledizione, una fonte di alienazione ed una pesante responsabilità che ti condiziona l'esistenza, rendendo ardua l'accettazione da parte del prossimo. Come nel film precedente le atmosfere sono sordide, degradate, brutali, esaltando lampi di sincera umanità che contrastano con il contesto squallido e disperato. Ma la pregnante ambientazione storica nello scenario fortemente evocativo di una Roma-città-aperta di neorealistica memoria, la sontuosa ricostruzione di luoghi emotivamente collegati ad un cupo passato impossibile da dimenticare, la mescolanza di fantastico e tragico (con l'onirico mondo circense che si alterna alla furia sanguinosa della guerra), l'abbondanza di effetti speciali (realizzati anche in computer grafica) e l'elevato budget produttivo rispetto agli standard del cinema italiano, lo rendono un prodotto decisamente più grandioso e ambizioso, facendo crescere, proporzionalmente, anche le aspettative. Il risultato finale è sicuramente valido, ma inferiore rispetto alla fortunata pellicola d'esordio di Mainetti. Infatti il film, ottimo e "magico" per tutta la prima parte, risulta complessivamente troppo lungo, talvolta stiracchiato, ridondante ed eccessivo nell'interminabile finale bellico, qua e là imbarazzante nei suoi picchi grotteschi che tracimano nel kitsch o nel macabro. Nel cast i più bravi sono la sorprendente
Aurora Giovinazzo e il solido Giorgio Tirabassi, mentre Claudio Santamaria appare intrappolato nel trucco ingombrante da "uomo bestia" e Franz Rogowski tratteggia un cattivo esagitato sempre sul filo della macchietta involontaria. I momenti alti, in cui il meraviglioso si fonde con l'orrido e il poetico con il lugubre, sono alternati e presenti in egual misura con i passaggi meno convincenti o con le forzature narrative. Ma l'intrattenimento è ampiamente assicurato, la sequenza di epilogo è di grande suggestione simbolica ed i titoli di coda "artistici" costituiscono una preziosa chicca che riempie il gap temporale tra gli anni in cui è ambientato il film ed il presente, attraverso un ingegnoso racconto per immagini disegnate. Mezza stellina in più per il coraggio produttivo e per lo spirito creativo di inoltrarsi in un progetto artistico diverso e concepito in grande, rispetto alla generale inerzia paludosa del cinema nostrano. Presentato in anteprima e in concorso al Festival di Venezia 2021, ha diviso la critica e ottenuto una serie di premi "minori", tra cui il Premio Pasinetti Speciale.
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