C e M sono felicemente sposati e condividono una vita semplice fatta di tenerezze e di attenzioni reciproche ed una piccola casa a Dallas fuori dal centro abitato. Lei pianifica un trasloco mentre lui si sente troppo legato a quei luoghi dove hanno vissuto e sono stati bene insieme. C muore all'improvviso in un tragico incidente e il suo fantasma, coperto da un lenzuolo bianco, ritorna nella loro casa dove osserva mestamente il dolore di M, i suoi tentativi di ricominciare a vivere, la sua partenza, l'avvicendarsi dei nuovi inquilini e le loro storie, i mutamenti portati dal tempo che avanza inesorabile, tra muta costernazione e la flebile speranza che un universo teoricamente ciclico potrebbe forse dargli, un giorno, una nuova vita e una nuova possibilità. Questo splendido melodramma fantastico scritto e diretto da David Lowery, con protagonisti Casey Affleck e Rooney Mara, è un piccolo gioiello del cinema indipendente americano, giustamente celebrato dalla critica al Sundance Film Festival dove venne proiettato in anteprima, e purtroppo quasi sconosciuto nel nostro paese. Chi si aspetta un horror spaventoso o una melliflua romanza sentimentale alla Ghost (1990), resterà inevitabilmente deluso e farebbe meglio a scegliere un'altra pellicola. A Ghost Story è un malinconico, delicato, soffuso ed intimistico dramma amoroso esistenziale, che riflette con ricchezza di sfumature e fascinazione introspettiva su tematiche profonde quali il senso ultimo della vita, l'elaborazione di un lutto, l'attaccamento terreno ai luoghi che ci sono stati cari, l'importanza della memoria per "tenere in vita" quella fugace scintilla emotiva che rimane di una vita umana dopo la dipartita e la crudele tirannide del tempo. Teneramente ovattato, dolcemente poetico nella sua struggente armonia fatta di lunghi silenzi, sguardi intensi, emozioni sincere e sentimenti mai sdolcinati, ci parla sussurrando al cuore attraverso immagini e musica (i dialoghi sono pochi e secchi) e ci immerge in un mondo surreale che riesce a solleticare corde visceralmente profonde, fornendo costantemente allo spettatore la prospettiva del fantasma. Dal punto di vista tecnico il regista ha scelto un inusuale formato in 4:3, uno stile compassato ed una evocativa fotografia eterea, rappresentando il fantasma protagonista secondo la desueta iconografia settecentesca del corpo avvolto da un lenzuolo bianco (simbolo di un sudario reso innocente dalla morte); una scelta estetica coraggiosa e sorpassata, che conferisce al "personaggio" un senso antico, logoro, ancestrale, celebrativo e profondamente tenero. Esplorando nostalgicamente il confine sottile tra fisico e immateriale, presenza e assenza, ricordo e oblio, luce e ombra, questo film complesso e ammaliante ci lascia dentro una soave sensazione di malinconia, ci accompagna per mano lungo sentieri del cuore universali e guarda alle dinamiche inintelligibili del "cerchio della vita", consegnandoci un finale bellissimo e indimenticabile.
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