New York, fine anni '50. Il degradato quartiere dell'Upper West Side di Manhattan, densamente popolato da immigrati europei e portoricani in perenne scontro tra loro, è sottoposto al processo di riqualificazione urbana della "Grande Mela" e gran parte dei vecchi edifici sono in demolizione per fare spazio al futuro Lincoln Center in costruzione. E' proprio con questa immagine, fortemente evocativa, che si apre il film, tra il disfacimento del cantiere aperto, le ruspe e le gru di demolizione, i palazzi abbattuti, i detriti e la polvere, affiancati all'umanità vivace e colorita che ancora brulica in ciò che resta in piedi dell'antico quartiere. Come a voler stabilire, attraverso le immagini, un ponte di connessione tra il vecchio mondo, illustrato con malinconica nostalgia, e il nuovo che avanza inesorabile, spazzandone via la memoria fatta di sentimenti, passioni, violenze, sogni e contraddizioni. Basterebbe già questo a far capire il tono del film, l'accorato senso di accostamento ad un classico leggendario della storia del cinema e del teatro di Broadway e la mano esperta, illuminata dalla saggezza della maturità che si è affiancata all'innato talento, che guida il progetto a lungo cullato prima di vedere la luce. La mano di Steven Spielberg, maestro indiscusso dei sogni sul grande schermo e di quel senso romantico della meraviglia che fu base fondante della nascita del cinema, fin dai tempi eroici dei primi pionieri della "settima arte". In questo remake spielberghiano del grande classico del 1961 di Jerome Robbins e Robert Wise, uno dei più celebri musical hollywoodiani di tutti i tempi, adorato da pubblico e critica e premiato con ben 10 Oscar, la vicenda raccontata è quella che già conosciamo, invero più fedele all'originale teatrale scritto da Jerome Robbins, Arthur Laurents, Leonard Bernstein e Stephen Sondheim (e liberamente ispirato alla tragedia "Romeo e Giulietta" di William Shakespeare) che al pluridecorato film di Robbins-Wise. Due gang giovanili di strada, i Jets (caucasici europei) e gli Sharks (ispanici portoricani), si contendono il controllo del territorio del West Side con continui scontri e zuffe reciproche, frutto di un'antica rivalità basata sull'intolleranza dello "straniero" e sulla prevaricazione violenta del "diverso". La situazione diventa incandescente quando Tony, fondatore e leader dei Jets divenuto più mite dopo un anno trascorso in prigione, s'innamora perdutamente della bella Maria, sorella minore di Bernardo, turbolento capo degli Sharks, temuto e rispettato dall'intera comunità latina del quartiere. Maria, ragazza forte e indipendente, ricambia totalmente l'amore di Tony e sogna di fuggire con lui, per spezzare la catena di un'odio atavico che lei, già proiettata verso i venti di cambiamento del futuro, non condivide e ritiene un segno di antiquato pregiudizio. Ma potrà l'amore riuscire a sconfiggere la cortina dell'odio? Fin dal 2014 Spielberg ha mostrato grande interesse verso la realizzazione di un remake del musical West Side Story e, grazie alla sua influenza, è riuscito prima ad acquisirne i diritti e poi, affidandosi al fidato sceneggiatore Tony Kushner, a trasformare il progetto in realtà dopo un lungo tira e molla di controversie produttive. Girato principalmente in strada, in veri quartieri newyorkesi come Harlem e Brooklyn, e nel New Jersey, e rimandato ulteriormente di un anno a causa della pandemia di covid-19, questo film traboccante di amore verso l'originale riesce a sviluppare, in deferente autonomia, una propria identità che ne giustifica il senso al di là dell'omaggio e del tributo sentimentale. Il risultato finale è una pellicola magnifica, visivamente sontuosa, realizzata con il cuore del vecchio cinema classico di una volta, stilisticamente pregevole nella messa in scena, nei movimenti di macchina fluidi, nelle inquadrature dinamiche in campo lungo e nell'inventivo utilizzo delle luci e delle ombre che conferiscono nuova linfa ai densi scenari di questa grande tragedia musicale. Perfetta la ricostruzione ambientale, incantevoli le scenografie, le coreografie, i balletti e le canzoni, con l'ottimo lavoro di fresco riarrangiamento dei celeberrimi brani originali di Leonard Bernstein eseguito dall'affidabile David Newman, sfavillante la fotografia del polacco Janusz Kaminski ed encomiabile il casting (durato diversi anni alla puntigliosa ricerca di volti giusti e sconosciuti), che ha reso possibile il "miracolo" di non far rimpiangere gli attori del 1961. Bravissimi e perfetti nei rispettivi ruoli tutti gli interpreti, da Ansel Elgort a David Alvarez, da Mike Faist a Corey Stoll, ma la lode la meritano principalmente le attrici: l'esordiente Rachel Zegler (che buca lo schermo con la sua radiosa bellezza ed è all'altezza di Natalie Wood nei panni di Maria) e la talentuosa Ariana DeBose, che è l'esemplare Anita del nuovo millennio. Da segnalare la presenza di Rita Moreno (che interpretava Anita nel film di Robbins-Wise e che vinse l'Oscar per quel ruolo), fortemente voluta da Spielberg nel suo remake, che qui dà vita al nuovo personaggio di Valentina (che prende il posto del saggio Doc di Ned Glass) e che costituisce l'unica importante modifica apportata rispetto alla storia originale. Dal punto di vista commerciale questa pellicola è stata un mezzo flop, chiaro segno di come oggi i gusti e la sensibilità del pubblico siano molto cambiate rispetto al cinema dal sapore classico ed al musical in generale. La critica è stata però giustamente prodiga di elogi e l'Academy Awards ha tributato all'opera 7 meritatissime nomination agli Oscar, tra cui miglior film e miglior regia (per Spielberg è l'ottava candidatura come regista). Il grande autore ha espressamente dedicato questo lungometraggio a suo padre (come sancito dal toccante "To Dad" che compare all'inizio dei titoli di coda), sia perché West Side Story era il musical preferito dei suoi genitori e sia come segno affettivo tangibile della completa ricucitura di quello strappo emotivo (la separazione dei suoi) che ha segnato la sua adolescenza e che è leggibile tra le pieghe di molte sue opere. La decisione di non tradurre e non sottotitolare i dialoghi in spagnolo ha generato qualche polemica, ma l'autore si è dimostrato inamovibile su questo punto. Una scelta artistica ma anche "politica", che collega questo classico rinnovato alla realtà sociale contemporanea, americana ma non solo, in cui ancora ci si scontra con i medesimi pregiudizi, discriminazioni e intolleranze descritte nel film. Lunga vita a Maestri come Spielberg o Scorsese che rendono ancora oggi possibile la realizzazione di opere come questa, affini al vecchio concetto di "kolossal" e ricolme di quello spirito epico romantico che anela alla meraviglia e all'emozione nella sua forma più pura, e che rese grande la Hollywood degli anni d'oro.
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