lunedì 14 febbraio 2022

Lolita (1997) di Adrian Lyne

Nell'America di fine anni '40 il maturo professor Humbert sposa la vedova Charlotte Haze ma è irresistibilmente attratto dalla figlia quattordicenne di lei, Dolores detta "Lolita", adolescente bella e maliziosa che ricambia con atteggiamenti ammiccanti il suo interesse. Charlotte perde la vita in un incidente e tra l'uomo e la ragazzina scoppia una passione proibita e sconveniente da tenere ben nascosta. Ma Lolita è esuberante e ardua da gestire e finisce per attirare altri uomini maturi ammaliati dalle giovinette, tra cui il losco seduttore Clare Quilty. La tragedia è dietro l'angolo. Secondo adattamento per il cinema dello "scandaloso" romanzo "Lolita" di Vladimir Nabokov, già portato sul grande schermo da Stanley Kubrick nel 1962 con una pellicola famosa, controversa e di ottima fattura. Il confronto con l'originale è ovviamente inevitabile e inesorabilmente in perdita. L'inglese Adrian Lyne, specialista dell'erotismo mainstream di patinata confezione e di torbida fascinazione, si cimenta in una missione impossibile, partendo dalla sceneggiatura di Stephen Schiff e scegliendo una maggiore fedeltà rispetto al testo letterario ispiratore ed un approccio basato su una superiore audacia sessuale (che si traduce in sequenze erotiche ben più esplicite rispetto al film di Kubrick), sulla totale assenza di ironia e su una sorta di implicita "modernizzazione" in accordo al periodo di uscita dell'opera. Il risultato è un film cupo e serioso, di morbosa drammatizzazione e di pedante artificiosità nel suo essere elegantemente flebile. Per quanto gli attori principali siano all'altezza dei rispettivi ruoli (fatalmente seducente Dominique Swain, ossessivamente tormentato Jeremy Irons e di luciferino carisma Frank Langella), tutto si riduce ad uno scialbo accumulo di ruffianeria pruriginosa e di didascalismo inamidato, con cavillose indulgenze nel melodrammatico. Si perdono totalmente le sfumature psicologiche, i sottotesti etici, la dimensione metaforica, lo stile denso, la riflessione sociale, le invenzioni grottesche e la glaciale progressione geometrica della diegesi kubrickiana. Sono da salvare la ricostruzione storico ambientale, le interpretazioni dei tre attori principali, la colonna sonora avvolgente di Ennio Morricone e qualche sequenza di forte impatto allegorico come il dialogo sul patio tra Humbert e Quilty con le falene notturne che bruciano nella zanzariera elettrica. Jeremy Irons era molto restio ad accettare un ruolo così scomodo come quello di Humbert, e il suo disagio veniva aumentato dal fatto che, all'epoca, era padre di figli adolescenti. Ma il "corteggiamento" di Adrian Lyne fu così insistente che, alla fine, il bravo attore si decise ad accettare, uscendo psicologicamente provato dalla lavorazione del film. Lui stesso dichiarò, anni dopo, di essersi così immedesimato nel personaggio da aver provato una sorta di autentica ossessione per la sua collega Dominique Swain, che durante le riprese aveva 15 anni (ma venne sostituita da una controfigura maggiorenne nelle scene più scottanti).

Voto:
voto: 2,5/5

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