lunedì 31 ottobre 2011

Il posto delle fragole (Smultronstallet, 1957) di Ingmar Bergman

“Il posto delle fragole” (Smultronstallet, 1957) è un altro capolavoro bergmaniano, nel quale i temi filosofici sono affrontati sul versante esistenziale e solo indirettamente su quello religioso. Il film si apre con uno degli incubi più angosciosi della storia del cinema, e racconta il viaggio in auto di un anziano professore universitario, che si reca alla sua vecchia università per il proprio giubileo. L’uomo sente la morte vicina (come il cavaliere del “Settimo sigillo”) e fa un bilancio della sua vita, attraverso ricordi, rimpianti, perfino rimorsi, incontri, colloqui e riflessioni, che lo portano alla fine al riconoscimento dei propri errori (in particolare l’egoismo e l’indifferenza verso gli altri) e a una più serena accettazione dell’esistenza (e quindi anche della morte imminente). Raccontata così, la vicenda sembra banale ed addirittura rassicurante, ma Bergman le conferisce una problematica complessità, caricandola di inquietudini e moltiplicando le tematiche: a quella principale sul senso dell’esistenza, intreccia meditazioni sulla vecchiaia (davvero straordinarie per profondità, in un autore di meno di quarant’anni), sul divario generazionale (il confronto con i giovani autostoppisti), sul valore della memoria, sul trascorrere del tempo (con la geniale trovata del protagonista che resta vecchio nei flash back in cui rivede il proprio passato, mentre gli altri personaggi sono bloccati nella perenne e splendente giovinezza del ricordo), sui conflitti matrimoniali (il rapporto tra il figlio e la nuora), sulla paura del futuro. Tutti temi universali che sublimano la vicenda individuale del vecchio professore in un apologo di straordinaria forza comunicativa. Il raggiunto magistero registico conferisce ad un’opera già così ricca di contenuti una ammirevole qualità formale, sottolineata dalla solita bellissima fotografia di Gunnar Fischer. Da ricordare infine la bellissima interpretazione di Viktor Sjostrom, celebre regista autore di classici del muto (da “Il carretto fantasma” a “Il vento”), maestro del cinema svedese e mondiale, col quale Bergman aveva già lavorato. Qui, alla sua ultima (ed emblematica) prova d’attore, il vecchio leone sembra quasi affidare al suo giovane (e perfino più dotato allievo) un significativo passaggio di consegne, che conferisce al film un valore aggiunto metacinematografico.

Voto:
voto: 5+/5

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