lunedì 31 ottobre 2011

Il settimo sigillo (Det sjunde inseglet, 1956) di Ingmar Bergman

Il settimo sigillo (Det sjunde inseglet, 1956) è il primo capolavoro assoluto di Bergman e costituisce, insieme al successivo Il posto delle fragole, un dittico straordinario per intensità drammatica, qualità formale, complessità e profondità tematica. Qui il Maestro svedese affronta la tematica religiosa, cara al cinema nordico, sotto la forma di una allegoria medioevale di grande fascino figurativo. Ambientato nella Svezia del 13° secolo, il film racconta la storia di un cavaliere, reduce dalle crociate, che incontra la Morte. Ancora roso dai dubbi sull’esistenza di Dio e sul senso dell’esistenza, il cavaliere sfida la Morte a una partita a scacchi, per guadagnare tempo e cercare di trovare qualche risposta ai suoi interrogativi. Tutti i personaggi del film rappresentano altrettanti atteggiamenti dell’uomo di fronte ai quesiti teologici. Il cavaliere è dubbioso, lo scudiero è lucidamente (e disperatamente) ateo, il saltimbanco è un semplice e perciò “vede” quello che gli altri non possono vedere, la ragazza muta rappresenta la fede acritica, il taglialegna e l’amante sciocca non pensano a Dio ma al piacere, la moglie del saltimbanco rappresenta il buon senso e la maternità, cioè la continuità esistenziale che prescinde da dubbi e domande. Intorno a questi personaggi principali, una folla di preti fanatici, predicatori in malafede, penitenti esaltati, visionarie che si credono streghe, sgherri e mercanti, tutti terrorizzati da una terribile pestilenza e convinti dell’imminente fine del mondo per castigo divino. Il regista utilizza questo scenario apocalittico con tale maestria stilistica da conferire ad ogni scena un risalto plastico, una potenza espressiva e una capacità di trasfigurazione visionaria irripetibili. Le sequenze da antologia sono innumerevoli, a cominciare dall’incontro tra il cavaliere e la Morte, su una spiaggia deserta e sotto un cielo plumbeo e “vuoto” (nel quale il cavaliere vede rispecchiata l’assenza di Dio), per continuare con la processione dei flagellanti, il colloquio nel bosco con la “strega” condannata, l’arrivo della Morte nel castello e la danza finale della Morte e delle sue vittime sul crinale della collina. Mai nessun film ha affrontato, attraverso un racconto così coinvolgente, affascinante e di tale spessore simbolico, il tema “filosofico” del disperato bisogno di Dio da parte dell’uomo, piccolo essere in balia di forze trascendenti, delle quali non riesce a comprendere il senso e dalle quali si sente turbato e minacciato. Da sottolineare la splendida fotografia in bianco e nero di Gunnar Fischer, che contribuisce a rendere più dense e suggestive le atmosfere di questo film memorabile. Tra gli attori emerge Max Von Sidow, avviato da qui a una lunga carriera (anche internazionale), ma tutti gli interpreti sono bravissimi. 

Voto:
voto: 5+/5

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