lunedì 31 ottobre 2011

Nashville (1975) di Robert Altman

A Nashville, durante i giorni del festival della musica country, si intrecciano le storie di tanti personaggi: star affermate o decadute, giovani alla disperata ricerca del successo nel difficile mondo dello spettacolo, candidati politici in cerca di consensi elettorali, galoppini del potere, avventurieri di mezza tacca. L'intreccio tra interesse politico e spettacolo musicale è rappresentato con un lucido disincanto che ha pochi eguali nella storia del cinema. Robert Altman è stato uno dei più grandi registi americani. Un pensatore libero, una voce fuori dal coro, sempre ai margini dei percorsi mainstream, innovativo nello stile e nelle tematiche, si è sempre distinto per la sua grande capacità di raccontare storie corali, ritratti al vetriolo di un'altra faccia dell'America. Il grande regista ha quasi sempre smontato la rassicurante ed ipocrita retorica buonista del Sogno Americano, attraverso gli stumenti del sarcasmo e della pungente critica sociale. Il suo cinema è tipicamente fatto da perfide commedie corali, in salsa amara, di profonda intelligenza ed acutissima riflessione. Mai banale, sempre elegante nello stile, un uomo contro che si è sempre distinto per il grande rigore formale e la sferzante acutezza dello sguardo. Sempre snobbato dall'Accademy Award, manco a dirlo, a parte il premio contentino alla carriera del 2006. Tantissimi grandi film degni di lode: "MASH" (1970), "Il lungo addio" (1973), "California Poker" (1974), "Un matrimonio" (1978), il cult "Quintet" (1979), "I protagonisti" (1992), "America Oggi" (1993), "Radio America" (2006), giusto per citarne alcuni. Ma "Nashville" è, senza alcun dubbio, il suo capolavoro, il manifesto della sua arte, nonchè uno dei film americani più belli ed importanti di sempre. E' il film altmaniano per eccellenza. Un film da vedere, rivedere, ascoltare, possedere e custodire gelosamente nella propria collezione. Opera manifesto di una generazione e della fine di un'epoca, superbo ritratto corale di un periodo storico: la fine degli ideali del '68, la contro-cultura, sulle note avvolgenti della musica country in un viaggio di 5 giorni nelle radici musicali americane. E' una meravigliosa galleria di personaggi, tutti ben approfonditi, che incarnano lo sbandamento di una nazione, ma anche la sua carica vitale, il suo cinismo e la sua voglia di andare avanti. Con il consueto stile caustico Altman celebra, al tempo stesso, epopea e fine del sogno americano, svelandone le ingenuità, le contraddizioni e mettendo a nudo la faccia sporca e meschina della politica, dietro una maschera di lustrini scintillanti. E' il sogno spezzato di una generazione disillusa che vive per e attraverso la musica, è una lucida riflessione sul mondo dello spettacolo, le sue chimere ed i suoi inganni. Ma è, soprattutto, l'anima (musicale) di un popolo portata in scena nuda e cruda, senza retorica nè indulgenze. Il film è come un grosso carrozzone che viaggia senza un centro vero e proprio e la folta galleria di storie e situazioni non identifica un vero protagonista, a parte la musica. La musica è il traino della vicenda, è quella che accomuna ed omologa, è lo strumento per andare oltre le meschinità e le tragedie dell'esistenza. Memorabile, in tal senso, la surreale tragica vicenda finale ambientata al Partenone. La struttura caotica e decentralizzata del film è una perfetta metafora per esprimere il senso di smarrimento di quegli anni, la caduta degli ideali e la ricerca affanosa di una comune identità sociale e politica. La pellicola trasmette un forte senso di realismo, al punto che sembra quasi un documentario, in certi momenti. Altman sceglie di applicare il principio di diretta rappresentazione della realtà, tipico della Nouvelle Vague francese, amplificandolo, però, su un caleidoscopio di storie e personaggi, dando vita ad un suggestivo spaccato di vite collettive. La scelta di Nashville è quasi obbligata perchè la capitale del Tennessee è, da sempre, anche, la capitale della musica country e di tutto il kitsch ad esso correlato. Ma, come sempre in Altman, non c'è solo questo dietro la facciata più evidente: Nashville è anche uno dei simboli di quella "old America" conservatrice ed ancorata ai valori tradizionali (patria, famiglia, casa, religione). Valori che, non a caso, qui vengono messi tutti in discussione, demistificati e mostrati come deboli, frammentati, privi di una coesione complessiva. Ed il cinico edonismo individuale espresso dal "it don’t worry me" finale, rappresenta il top della critica all'egoismo sociale di una generazione. Ma anche il frutto inevitabile di una classe dirigente sprezzante e meschina, non solamente americana. Da sottolineare, altresì, il coraggio "perfido" di Altman, nel riaprire vecchie ferite mai rimarginate della storia americana, come l'omicidio Kennedy, qui indirettamente rievocato. Insomma, quest'opera è il masterpiece di Altman per eccellenza, per molti aspetti complementare ad un altro suo capolavoro, "America oggi" del 1993, che però risulta ben più amaro e privo di quella frizzante energia vitale che traspare da molte sequenze di "Nashville". Invito, quindi, tutti gli appassionati di cinema a riscoprire questo capolavoro (come gran parte delle opere di Altman, del resto) perchè è un meraviglioso manifesto (anche musicale) di un'epoca storica irripetibile. Film non facile, indubbiamente, ma di enorme valore artistico. Uno dei migliori film americani dei 70's.

Voto:
voto: 5/5

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